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Giancarlo De Cataldo riaccende i riflettori sull’omicidio di Christa Wanninger: il suo “Dolce vita, dolce morte”

Sono passati quasi 60 anni esatti da quel 2 maggio 1963, quando a Roma si consumò l’omicidio di Christa Wanninger, uno dei misteri più discussi dalle cronache italiane. In un palazzo nei pressi di Via Veneto, nel cuore della dolce vita, una giovane aspirante attrice tedesca fu uccisa da undici coltellate. “E’ stato quasi fatale cadere preda del fascino di questo caso, così anomalo ma allo stesso tempo così ricco di elementi tipici dei misteri italiani: le verità nascoste, l’invadenza dei media, l’ombra dei servizi segreti… Christa è la nostra Dalia Nera”. Così il noto magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo spiega perché ha scelto di ispirarsi proprio al delitto Wanninger per “Dolce vita, dolce morte”, il primo romanzo della nuova collana Rizzoli “Novelle nere”.

Nel ’63, era ancora un bambino che viveva a Taranto. Com’è riuscito a ricostruire il caso Wanninger e l’atmosfera che si respirava a Roma in quegli anni?
Arrivai a Roma per la prima volta nel ’64, ospite di alcuni parenti del ramo romano della mia famiglia. Abitavano in piazza Tor Sanguigna, come Marcello (un protagonista del suo romanzo, ndr) e avevo un cugino di poco più di vent’anni che mi scarrozzava su una MG rossa. Come Marcello. I miei mi portavano a prendere il gelato a via Veneto, ovviamente di pomeriggio perché poi la sera era dedicata a quel mondo che descrivevano come “dolce vita”. Con un misto di orrore e di attrazione. Quindi, quella è la Roma che ho nel cuore, l’imprinting di Roma, che poi sarebbe diventata la mia città. Direi che le mie fonti sono state la memoria incantata di un bambino e molte letture della stampa dell’epoca. La rete ha molti difetti ma anche tanti pregi. Per esempio, quello di poterti scaricare il Messaggero o il Tempo del 3 maggio 1963.

Il Marcello di cui parla è il giornalista che nel suo romanzo deve seguire il caso dell’aspirante attrice assassinata. È ispirato a qualcuno in particolare?
Fra i sogni della mia adolescenza c’era il giornalismo. Ho lavorato per qualche anno nelle radio, ho collaborato a Paese Sera verso la fine degli anni Settanta. E continuo a scrivere di cultura. Di giornalisti ne ho conosciuti, ammirati ed anche esecrati tanti. In Marcello c’è molto di parecchi amici e nemici incontrati nel corso del tempo. Poi i dettagli e l’ariaccia di redazione me li sono fatti raccontare da Massimo Lugli, un caro confratello fra gli appassionati di crime, cold case, ecc.

Oggi c’è un’attenzione mediatica quasi morbosa sui casi di cronaca nera. A maggior ragione irrisolti. Come la spiega? E com’è cambiato il rapporto tra procedimento giudiziario, media e opinione pubblica rispetto al passato?
L’attenzione mediatica verso i delitti clamorosi – inclusi i casi irrisolti – è antica quanto il mondo. Si pensi all’orazione di Lisia per l’uxoricida, un mirabile testo legale di oltre duemila anni fa; perla di gergo avvocatesco che venne pronunciata davanti a un’estasiata folla di cittadini ateniesi. Giustizia e spettacolo sono da sempre un binomio inscindibile. Il caso di Christa occupò per mesi la prima pagina; in attesa del verdetto sull’omicidio di via Monaci (Ghiani e Fenaroli, 1959-61), invece, si creò sul Lungotevere un serpente umano lungo chilometri, fatto di colpevolisti e innocentisti, come da che mondo è mondo. Anche l’uso politico e strumentale della cronaca nera non è una novità assoluta. Il vero problema del contemporaneo è che i social hanno ampliato a dismisura la convinzione che chiunque possa essere giudice di qualunque condotta. Ciò ha alimentato il processo di disintermediazione, particolarmente acuto nel settore giudiziario, e innestato nelle decisioni,
specie le più controverse, pericolosi germi di populismo. Ma il discorso è troppo complesso per poter essere affrontato in poche righe.

Magistrato e scrittore. Che rapporto ha con i casi seguiti in tribunale e con quelli narrati nei libri? Riesce a mantenere un distacco?
Sono in pensione, ormai, dalla magistratura, quindi declino la risposta al passato: dei casi, mi hanno sempre interessato i risvolti umani. Ma non ho mai fatto confusione fra il ruolo di arbitro del destino altrui e quello di narratore. Il narcisismo l’ho riservato tutto a questo secondo aspetto della mia vita.

Oltre a scrittore è anche sceneggiatore. Si immagina un film da questo libro? O rimarrà solo su carta?
Ah, confesso: mi piacerebbe tanto scriverlo e pure girarlo da me questo film!