Niente cure e no alla detenzione domiciliare. Graziano Mesina, 80 anni, arrestato dopo 17 mesi di latitanza nel dicembre del 202i per sfuggire all’esecuzione di una pena, “rifiuta” le cure e ogni tipo di accertamento diagnostico e quindi non è possibile arrivare ad una “diagnosi certa” sulle sue condizioni di salute. Per questo motivo il Tribunale di Sorveglianza di Milano, presieduto da Giovanna Di Rosa, non è stato concesso il differimento pena con detenzione domiciliare per il più noto esponente del banditismo. L’ex primula rossa del Supramonte, detenuto da qualche mese ad Opera (Milano), deve scontare una pena a 30 anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

L’opposizione a cure e diagnosi, secondo i magistrati, non permette di interrompere l’esecuzione della pena per motivi di salute, proprio perché manca un quadro certo delle condizioni di salute. Nella sentenza (giudice estensore Giovanni Gerosa e a latere Laura De Gregorio), depositata ai primi di marzo, i magistrati, infatti, spiegano che Mesina, detenuto nel carcere milanese dallo scorso giugno, si pone “in maniera oppositiva” di fronte alle cure e ai tentativi da parte del personale medico, a cui non offre alcuna collaborazione, di arrivare ad una diagnosi. E le sue condizioni, per quanto possibile, vengono valutate come “apparentemente” discrete. La decisione è stata presa in un procedimento aperto d’ufficio da parte dei giudici e senza un’istanza difensiva. Mesina, evaso più volte (l’ultima nel 2020 dopo che la sentenza per droga era diventata definitiva) e con fine pena previsto nel dicembre 2045, si legge ancora negli atti, ha deciso di “autodimettersi” dalle cure ai primi di dicembre scorso.

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