Emissioni di gas fossile da bulloni, giunture, valvole, dovute a scarsa manutenzione ma anche un utilizzo frequente della pratica del rilascio volontario di metano direttamente in atmosfera. E poi la mancanza di dati pubblici. È stato riscontrato di tutto nei sedici impianti legati prevalentemente al trasporto di gas e monitorati nel corso del 2022 e nei primi mesi del 2023 tra Sicilia, Campania e Basilicata per la campagna ‘C’è puzza di gas’, realizzata da Legambiente con il supporto di Clean Air Task Force. Sono stati rilevati circa 150 punti di dispersione di metano: 128 hanno a che fare con perdite, ovvero emissioni di gas da bulloni, manometri, valvole, giunture, tubature e altre componenti, 26 sono dovuti a casi di venting, ossia di rilascio volontario di metano. I dati di bilancio finale della campagna mostrano, dunque, la necessità di una normativa stringente per rendere monitoraggi e controlli obbligatori negli impianti. E si aggiungono a quelli ottenuti con le attività che Clean Air Task Force ha condotto in Italia nel 2021 e a febbraio 2022, monitorando altri 45 impianti. In soli due anni di attività, dunque, sono state registrate emissioni significative in 42 siti (sette dei quali monitorati più di una volta) su 60 impianti totali, compresi i sedici sotto osservazione per la campagna ‘C’è puzza di gas’. E in questi 42 siti, sono stati individuati 253 punti di emissione: 70 casi di rilasci volontari con flussi continui, riscontrati anche a distanza di giorni negli stessi impianti, 151 perdite della componentistica, talvolta visibilmente usurata e con scarsa manutenzione, 24 casi di flaring (la combustione senza recupero energetico) e 8 combustioni incomplete.
La necessità di una normativa che imponga monitoraggio e interventi costanti – “Nella lotta alla crisi climatica e per centrare gli obiettivi climatici, l’Italia – spiega Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente – deve anche accelerare il passo nella riduzione delle emissioni di metano e dotarsi di una normativa stringente che imponga un’attività di monitoraggio, di misura e intervento costante degli impianti”. Se immesso direttamente in atmosfera, infatti, il metano può avere un effetto fino a 86 volte più climalterante dell’anidride carbonica per i primi 20 anni. “Si stima che a livello globale, nel 2021, siano stati emessi in atmosfera 126 miliardi di metri cubi di gas solamente dal settore oil and gas, un enorme spreco di risorse oltre che una minaccia per il clima”, sottolinea Legambiente, spiegando che il dato “va affiancato dalle attività di flaring, ovvero le combustioni in torcia, attraverso le quali l’Agenzia internazionale dell’Energia stima che nel 2021 siano stati sprecati 144 miliardi di metri cubi di gas”. Per questo l’associazione ambientalista rilancia un appello al governo Meloni affinché si definisca e si adotti una normativa stringente. E propone, ad esempio, l’introduzione dell’obbligo mensile di condurre attività di rilevamento e riparazione che, secondo l’Agenzia statunitense per la protezione dell’Ambiente, garantirebbe una riduzione delle emissioni del 90%, dell’80% con una frequenza trimestrale, del 67% semestrale.
Dalle perdite al rilascio volontario di gas: gli impianti più critici – Tra gli impianti che destano preoccupazione, secondo Legambiente, c’è il Greenstream, in Sicilia, il gasdotto che collega la Libia all’Italia gestito dalla Greenstream BV, che vede azioniste alla pari Eni e Noc, la compagnia petrolifera nazionale libica. In particolare, a Gela, presso il terminal di ricevimento del gasdotto, nel corso dei monitoraggi sono stati osservati due importanti casi di rilascio volontario continuo in atmosfera e nove altre perdite di vario genere. A queste si aggiungono quelle rilevate in un impianto di regolazione e misura, dove sono state individuate 12 emissioni di metano (due casi di venting e 10 perdite da valvole, tubature e contatori). Altra situazione critica è quella della Centrale di Compressione di Melizzano, in Campania, dove sono stati individuati più di 30 punti di emissione, nove casi di venting e tra i 20 e 25 casi di perdite, complesse da individuare a causa della quantità di gas trovato e della distanza dalla quale sono state realizzate le riprese. “In questo impianto, come nel bypass di Melizzano – racconta Legambiente – desta particolare preoccupazione il flusso continuo e costante di gas fossile rilasciato