Le facce dei genitori dei due ragazzini in arresto sono quelle che si riconoscono per prime: lo sguardo assente, la bocca tesa e i sorrisi sforzati di cortesia. “Siamo sotto choc”, dicono le mamme quasi sottovoce. Al presidio davanti al commissariato di rue de Nancy a Parigi ci sono una trentina di persone: un gruppo di professori, un insegnante che conosce i due alunni, una testimone, due sindacalisti e perfino una signora che fa parte di un collettivo contro la repressione nei licei. Sono le 13 del 29 marzo, sono passate più di 24 ore da quando i due ragazzi di 14 e 15 anni, incensurati e figli di due famiglie benestanti, sono stati arrestati dagli agenti e nessuno ancora sa con precisione le ragioni. Gli studenti avevano bloccato la scuola per il decimo sciopero generale e durante il blocco, è una delle ricostruzioni, i due avrebbero bruciato dei pallet in mezzo alla strada. “Non ci hanno dato nessun dettaglio, sappiamo solo che hanno rinnovato la custodia almeno fino a sera. Noi stiamo qui e aspettiamo”, dicono i genitori. Gli altri, il cordone che si è formato in solidarietà, aspetta in piedi al loro fianco, quasi in silenzio. Non si conoscono tutti: l’annuncio del presidio è circolato in una delle tante newsletter sugli eventi per lo sciopero generale e chi poteva è passato per dare sostegno. “Fa paura quello che sta facendo la polizia per reprimere il dissenso”, è la frase che dicono praticamente tutti i genitori. “Spropositato e ingiusto”, sono le parole che usano i professori. “Sono solo dei ragazzini”.

La scena è ormai quotidiana: dall’inizio degli scioperi in Francia, quasi tutti i giorni vengono organizzati dei presidi davanti alle prefetture per chiedere la liberazione dei manifestanti. E se il ministro dell’Interno Darmanin insiste nel negare la violenza degli agenti, a smentirlo è la cronaca quotidiana. “Se penso che dovrebbero essere loro a proteggere i nostri ragazzi quando vanno a manifestare”, dice una delle mamme. “Siamo molto preoccupati”. Mentre i genitori sono in presidio davanti alla caserma di rue de Nancy, sui giornali e le tv circolano gli audio su quello che è successo durante la repressione della manifestazione al bacino idrico di Sainte-Soline: per quasi due ore sono stati bloccati i soccorsi e ora due manifestanti sono tra la vita e la morte. Anche per questo oggi, in tutta la Francia, ci saranno altre proteste e saranno contro la violenza della polizia. “Anche per questo noi genitori ci siamo messi insieme”, dice l’esponente del Collectif Anti Répressions Lycée, “e ci presentiamo agli scioperi delle scuole. Perché ci sia un occhio adulto che li protegge dalla polizia”. C’erano anche davanti al liceo del 10° arrondissement, ma non è bastato.

“Non so se avete capito che qui parliamo di due minori di 14 e 15 anni”, dice Florence che fa la professoressa in un istituto poco distante. “Io faccio molta fatica a capire cosa sta succedendo a questo Paese. Se gli agenti li hanno visti, avrebbero potuto fermarli e fare degli avvertimenti. Invece hanno deciso di portarli in prigione. In prigione. Penso che sia difficile dormire da soli in un commissariato quando hai 15 anni. Sono amareggiata perché è successo in uno spazio dove c’erano molti adulti, tutti lì per loro. C’erano altre strade. E’ un’età importante e delicata, dal Covid in poi non stiamo facendo abbastanza per questi ragazzi”.

Le due mamme dei minori arrestati ascoltano in silenzio: stringono la mano ai prof che arrivano, ringraziano chi ha scelto di esserci. Hanno una quarantina d’anni, vivono poco distante. Sono arrabbiate, anche se cercano di non farlo vedere. “Io subito ero furiosa con mio figlio”, dice la prima. “Se l’avessero liberato dopo qualche ora avrei capito l’intento pedagogico. Ora però, dopo aver rinnovato la custodia cautelare, sono un po’ persa”. Fa una lunga pausa, poi ricomincia. “Io lo avevo autorizzato ad andare a manifestare pacificamente. E mantengo la mia convinzione che sia giusto scioperare. Ma in Francia da dieci anni c’è una repressione sempre più crescente. Per non parlare delle banlieau, dove da sempre è la normalità. Lo so che è orribile da dire, ma io continuo a pensare che la fortuna dei nostri figli è di essere due bianchi con i capelli biondi. Perché altrimenti so che avrebbero passato una notte diversa. E’ orribile, ma è così”. La seconda mamma non smette di fissare l’ingresso del commissariato in attesa di un segnale: “Io ancora non so cosa è successo. So che mio figlio ha fatto delle sciocchezze e le affronteremo quando esce. Però penso che il tempo della giustizia sia lungo e più di 24 ore in prigione a 15 anni è qualcosa che lascia il segno. Ne uscirà molto scosso e io con lui. A questo i politici ci pensano? Io vedo ogni settimana un milione di persone in strada e un governo che si rifiuta di ascoltare”.

Anche Silvan è fa il professore. Ha letto l’annuncio del presidio, ha fatto qualche telefonata per spostare un appuntamento e si è presentato. “Ogni volta che i nostri alunni vanno a protestare, io sono preoccupato. Per i nostri politici i ragazzi dovrebbero andare al corteo e poi tornare a chiudersi in casa. Non funziona così”. Di fianco a lui, un altro collega. “Questi sono metodi da Stato totalitario. Stiamo parlando di ragazzini. C’è questa strategia di repressione per spaventare il movimento, ma l’effetto è addirittura il contrario”. Ascoltano e annuiscono due rappresentanti del sindacato Sud-Education. Anche loro sono qui per dare un segnale: “In Francia la polizia fa paura”, dice Anne. “Puoi essere fermato anche se non hai fatto niente e solo se sostengono che potresti fare qualcosa. E sicuramente c’è stata un’intensificazione della violenza negli ultimi giorni”. Però l’effetto non è stato quello sperato da Macron, dicono. “Se è questa la strategia del governo”, continua Clément, “si mette le dita negli occhi da solo. Non ha fatto che crescere la determinazione di chi protesta e soprattutto ha rafforzato i legami di solidarietà tra di noi. E infatti siamo qui”. Il cordone davanti alla prefettura di rue de Nancy è solo una delle prove. Le persone non si conoscono, ma arrivano in silenzio e si avvicinano ai genitori dei due ragazzi per dire che ci sono. Poi, prima di andare, vanno a salutarli: “Bon courage”. Che vuol dire buona fortuna, ma anche “forza”. “Perché non siete soli”, dice un signore arrivato per ultimo e costretto a partire in fretta. “Faremo passare la voce”.

Intanto ormai, la Francia parla di molto altro rispetto alla riforma delle pensioni. Le gestione contestatissima dell’ordine pubblico da parte del governo di Emmanuel Macron è sotto accusa su tutti i fronti. La petizione, presentata sul sito dell’Assemblea nazionale, per chiedere la dissoluzione della squadra speciale di agenti in moto Brav-M (nata per reprimere le proteste dei gilet gialli e molto utilizzata in questi giorni) ha superato le 100mila firme. E se il presidente della Repubblica non sembra voler cedere di un passo, le prossime ore si preannunciano molto difficili. Alle 13 a Parigi ci sarà la manifestazione degli studenti e delle studentesse universitarie, alle 18 in tutto il Paese sono previste proteste contro la repressione della polizia. Chi si prepara a esserci in massa sono proprio gli universitari, che hanno iniziato sempre di più a far vedere la loro presenza nei cortei. Ieri pomeriggio, in una delle sedi della facoltà della Sorbonne Nouvelle, c’è stata una riunione del comitato che rappresenta tutte le università parigine. Al primo punto, la linea dura: “I sindacati vogliono mediare e fare compromessi, noi dobbiamo opporci. Se siamo nel movimento è per chiedere tutto”, ha detto Yassine. Al secondo punto, gli scontri con la polizia: “Bisogna fare in modo di essere pronti e il nostro servizio d’ordine dev’essere formato per difendere chi manifesta”. Una ragazza ha preso la parola e raccontato dell’ultimo corteo: “Ci hanno tirato lacrimogeni mentre sfilavamo pacificamente ed è scoppiato il panico. Per fortuna che c’era il nostro cordone di sicurezza”. Sul cartellone, alla fine dell’assemblea, la frase stava quasi in cima: proteggersi dagli agenti. Perché anche quella è diventata una priorità per chi non ha intenzione di lasciare la piazza.

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