La gestione del disastro di Cutro ha segnato l’inizio della discesa, persino nei sondaggi, del governo di destra, o meglio di estrema destra, come lo definiscono in Europa, fuori dai prudenti confini nazionali.
Le brucianti sconfitte in trasferta hanno posto l’Italia ai margini della scena internazionale. La gestione dei fondi del Pnrr ha assunto toni grotteschi e che avranno conseguenze nelle tasche degli italiani. I pedaggi autostradali sono aumentati. Le accise non sono scese. I poveri aumentano, ma il governo pensa a criminalizzare i percettori del reddito di cittadinanza. Scuola pubblica e sanità pubblica scendono ancora nelle priorità nazionali.
Quando il malessere tende a manifestarsi, puntualmente arrivano le campagne di odio tese a scatenare i penultimi contro gli ultimi e a diffondere la paura della “sostituzione etnica”, l’invasione imminente, lo spauracchio delle diversità e delle differenze. La recita, sempre la stessa, comincia a non funzionare più, i sondaggi segnano la fine della luna di miele con l’elettorato, ma le tensioni sociali che presto riproporranno la questione sociale daranno un duro colpo alla rappresentazione scenica e alle adunate a colpi di bambine e bambini con tanto di grembiule, obbligati a partecipare alle nuove adunate di regime.
Da qui l’annuncio di un piano per cambiare la “narrazione”, piano che prevede la prossima conquista della Rai e il tentativo di realizzare una repubblica presidenziale a reti unificate, secondo il modello dell’editto bulgaro di berlusconiana memoria. Quello che accadrà farà impallidire il ricordo di quei giorni. Peraltro oltre la metà della Rai è già sotto il controllo della destra, altro che “gli stalinisti con il colbacco” evocati dal ministro Sangiuliano, autore di memorabili biografie su Putin.
La Rai dovrà trasformarsi in una agenzia di governo incaricata di sostituire la propaganda alla realtà e di spiantare la matrice della Costituzione antifascista e antirazzista. Tutto è già predisposto, quello che sorprende è la rassegnazione delle forze di opposizione, praticamente silenti e forse impegnate a salvaguardare qualche piccolo lotto. Del resto, da anni, le forze vecchie e nuove del centrosinistra non hanno mai messo in agenda le norme sul conflitto di interessi, sulla riforma della Rai e dell’editoria, contro le minacce ai cronisti e contro le querele bavaglio.
La situazione italiana sembra destare più preoccupazione in Europa, dove temono un nuovo “caso Ungheria”, che a casa nostra. Possibile che le opposizioni tutte, e non solo loro, non sentano il bisogno di sollevare il tema nelle aule parlamentari e sulle piazze? Cosa aspettano a formare un coordinamento nazionale teso a salvaguardare quanto resta dell’articolo 21 della Costituzione? Perché non coinvolgono le istituzioni comunitarie e le autorità di garanzia nazionali? Meglio farlo subito, dopo servirà a poco, anzi a nulla. Quando il ricordo dell’editto bulgaro sarà travolto da quello in arrivo, nessuno dica di non essere stato informato.