Politica

Meloni-Mattarella, colloquio al Quirinale per due ore: tra i temi anche i ritardi del Pnrr. Poi la premier sui social giura: “Nessun condono”

Sui social, con il periodico video sugli “Appunti di Giorgia“, ostenta sicurezza e snocciola promesse e rassicurazioni: nessun condono fiscale, garantisce, anzi abbassiamo le tasse a tutti e specialmente a ceti medi e meno abbienti, assicura, il codice appalti velocizzerà le opere “combattendo le ruberie“, giura. Ma fuori da facebook per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, poco prima della pubblicazione del monologo in video, è stato il giorno di un “lungo e cordiale colloquio” con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Due ore di confronto a pranzo, al Quirinale, che hanno rivoluzionato l’agenda della premier e non le hanno permesso di andare a Udine per chiudere la campagna elettorale per le Comunali (non rinuncerà comunque a collegarsi in video). “E’ stata una lunga conversazione, svoltasi in un clima di cordialità e collaborazione”, spiegano dal Colle. I temi toccati nel faccia a faccia compongono una lunga lista: le difficoltà nel rispettare i tempi del Pnrr, i rapporti con l’Ue e la questione dei migranti, ma anche l’economia e l’energia.

Mattarella e Meloni stavano lavorando da una settimana per trovare un momento per fare il punto sui principali temi di attualità politica, interna e internazionale. Alla fine dal Quirinale è arrivato l’invito a pranzo questo venerdì. Sia a Palazzo Chigi sia al Colle si parla di contatti continui, con una stretta collaborazione istituzionale. Se il capo dello Stato ha qualcosa da osservare, si ragiona in ambienti della maggioranza, lo fa sempre nei modi e nei tempi giusti, ma nel caso specifico il colloquio è stato a 360 gradi con molti temi sul tappeto, compresa una agenda internazionale molto nutrita, dal prossimo G7 alla bilaterale a Londra di fine aprile, fino all’incontro con il premier spagnolo Pedro Sanchez (il 5 aprile a Roma) e al viaggio di inizio giugno negli Stati Uniti. Nel corso del faccia a faccia si è parlato anche della telefonata che la premier ha avuto con il presidente ucraino Zelensky, della conferenza di ricostruzione dell’Ucraina del 26 aprile e dei consigli europei. Secondo ambienti di maggioranza non ci sono state “tensioni e osservazioni da parte di nessuno”.

I temi di confronto tra presidente del Consiglio e capo dello Stato non sono gli stessi che la premier ha illustrato nel suo video social con gli “Appunti di Giorgia”: oltre alla riforma del fisco e al nuovo codice sugli appalti, anche i fondi alla sanità e il no al cibo sintetico che pone – dice Meloni – “l’Italia all’avanguardia”. Sul fisco la premier ribadisce un concetto carissimo al centrodestra, tornato a più riprese anche nell’era berlusconiana: “Il modo più efficace per combattere è avere tasse giuste – dice Meloni – da uno Stato che si dimostra amico. La repressione da sola non basta”. L’opposizione, continua, “dice che abbiamo previsto un condono, ma noi condoni non ne facciamo“. Il riferimento è alle norme sull’omesso versamento. Testualmente il comunicato di Palazzo Chigi recitava: “Si prevedono cause speciali di non punibilità di alcuni reati tributari (omesso versamento di ritenute dovute o certificate per importo superiore a 150.000 euro per annualità, omesso versamento di IVA di importo superiore a 250.000 euro per annualità, indebita compensazione di crediti non spettanti superiore a 50.000 euro), in particolare quando le relative violazioni sono correttamente definite e le somme dovute sono versate integralmente dal contribuente secondo le modalità previste”.

Nel decreto approvato, sottolinea la capa del governo, “c’è anche una norma che proroga i termini per regolarizzare la propria posizione a chi ha un contenzioso”. “C’è una norma che adegua alla nostra tregua fiscale le norme penali, si è fatta molta confusione, l’opposizione dice che abbiamo introdotto un condono tributario penale, è falso, noi condoni non ne facciamo. Con la tregua fiscale è prevista la rateizzazione e noi adeguiamo questa norma, stabilendo che il processo rimane sospeso fino a quando l’Agenzia delle entrate non dice che le rate le stai pagando regolarmente”.

Il “primo obiettivo” della legge delega sul fisco, afferma peraltro la premier, è quello di “abbassare le tasse per tutti con particolare attenzione ai redditi bassi e medi, con una progressiva riduzione delle aliquote Irpef“. La promessa della premier è che “avremo un fisco completamente nuovo dopo 50 anni, praticamente l’ultima riforma è stata fatta prima che io nascessi”. Il governo, assicura, vuole “mettere ordine a quella giungla di detrazioni, deduzioni, esenzioni, crediti d’imposta che costano allo stato italiano ogni anno circa 125 miliardi di euro“. Sul capitolo del lavoro povero per la presidente del Consiglio – che notoriamente è contraria al salario minimo – la strada è quella dell’introduzione “anche per i dipendenti sul modello di quello che abbiamo già fatto con la legge di bilancio sui lavoratori autonomi, di una tassa piatta sugli incrementi di salario rispetto all’anno o agli anni precedenti”. Poi, come incentivo all’occupazione, il governo “immagina” (è il verbo usato dalla premier) di abbassare gradualmente l’Ires (l’imposta sul reddito delle aziende) “a una condizione: a patto che quello che le società pagheranno di meno con una riduzione dell’Ires venga investito soprattutto in nuove assunzioni a tempo indeterminato”. Meloni lo traduce nel “famoso principio” per cui “più assumi meno tasse paghi”.

Poi c’è la questione del codice degli appalti, “altra grande e importante riforma attesa da tempo”, come lo descrive Meloni. La finalità è “fare le opere, bene, in modo accettabile combattendo le ruberie ma senza bloccare all’infinito quello che c’è da fare”. Quanto alla soglia senza gara (fino a 150mila euro) criticata dall’Autorità nazionale anticorruzione (“così si possono affidare lavori a i tuoi cugini o a chi ti ha votato” è stata la sintesi del presidente Giuseppe Busia). La premier spiega che quella è la norma “del governo a guida 5s di Conte e confermata dal governo Draghi. Abbiamo solo confermato e reso stabile una norma che altrimenti sarebbe cessata nel 2023″. Postilla, però, nient’affatto banale: la norma era nata nel periodo post-pandemia, in una fase di piena emergenza e di necessità di far ripartire i lavori, e l’intento si capisce da sé. Con la riforma Meloni promette “semplificazione, sburocratizzazione delle procedure: sarà istituita una banca dati degli appalti con tutte le informazioni relative alle imprese, una specie di fascicolo personale, sempre consultabile che si va a sostituire alla infinità di documenti che ogni volta le imprese erano chiamate a produrre, pensate quanto tempo e quanta carta saremo in grado di risparmiare. E, secondo: basta con i no distruttivi, in sede di conferenza dei servizi un ente esprime il suo dissenso alla realizzazione di un’opera dovrà anche offrire le soluzioni e non semplicemente limitarsi a dire no”.

Infine il capitolo sanità. Meloni annuncia che “ci saranno più agenti di polizia in quasi duecento ospedali, ed è ovviamente la primissima parte di una riforma complessiva vogliamo fare sulla sanità perché i cittadini possano tornare a fidarsi degli ospedali pubblici italiani”. Il governo, ricorda, ha messo oltre un miliardo per regioni e province autonome “per limitare l’impatto del payback nei dispositivi medici e per rafforzare i pronto soccorso perché le scene di degrado, di abbandono, di confusione che a volte vediamo in un momento difficile della nostra vita, cioè quando abbiamo bisogno della sanità di emergenza non sono tollerabili, allora abbiamo deciso di aumentare gli stipendi e le risorse per gli straordinari dei medici del pronto soccorso. Abbiamo deciso di limitare la possibilità che chi lavora nel pubblico lo faccia facilmente e contestualmente anche nel privato i cosiddetti medici a gettone e abbiamo deciso di introdurre pene più severe per chi aggredisce gli operatori sanitari”.