“Non ho appreso tutto quello che so direttamente dal latte di mia madre, ho studiato duramente nelle migliori scuole del pianeta”. Charl Landvreugd fa il suo esordio di spalle ma è guardando dritto negli occhi che pronuncia le sue parole più dure e sincere: “Io non sono un portatore di diversità, sono il Curatore Responsabile del Museo Stedelijk”. Un biglietto da visita che è una dichiarazione di guerra all’ordine precostituito; lo sa bene il Museo di arte moderna e contemporanea più importante dei Paesi Bassi, che si è visto ri-tirare addosso quelle “White balls on walls” che già in passato gli avevano lanciato contro le Gorillas Girls (gruppo femminista coperto dall’anonimato) e che oggi in Museumplein 10 sta assistendo a una rivoluzione partita dal suo interno.
Problema? Il fatto che l’amministrazione abbia chiesto un’equa distribuzione tra generi, sia a livello di board che di artisti esposti, per poter garantire finanziamenti futuri. Un’occasione che si rivela un processo di autocoscienza sui diritti acquisiti e su quelli ancora da acquisire, primo tra tutti l’inclusività. Che cosa significa, fino a che punto non diventa portatrice di un politicamente corretto sterile (il concetto di quote tra artisti di varie provenienze in effetti è inascoltabile, soprattutto da parte degli artisti per fortuna), dove finisce la tolleranza e dove l’imposizione. Tutto questo e molto di più se lo è chiesto Sarah Vos, regista pluripremiata che in anteprima nazionale ha presentato al Festival del Documentario di Pordenone il suo White balls on walls, dando così origine a un filone tutto da scoprire: quello dell’arte che espone se stessa non per esibirsi ma per far riflettere.
Le prime immagini sono quelle da tenere a mente: c’è il mondo di fuori, che pur stando in Olanda è colorato anche se non assolato e pieno di persone delle etnie più diverse. Dentro, al primo interno che ci viene proposto, il bianco è accecante ed è ovunque. Una metafora che non sfugge, come il tavolo di lavoro che è pieno di soli dipendenti bianchi.
Si parte da qui. E si arriva a una mostra che farà discutere la critica olandese per lo stravolgimento che il Museo, a suo dire, avrebbe subito. Espressionisti esposti accanto ad artisti africani, in un’escalation di significati che porterà anche gli storici dipendenti del Museo a dire: io non voglio smettere di esporre i nostri classici, voglio che i nuovi artisti si aggiungano ai precedenti, e li arricchiscano, li completino.
Sullo sfondo, la figura del direttore del Museo, illuminata quanto eccessivamente morbida – per i canoni di uno Stato come il nostro, che forse ancora deve abbracciare il passaggio al secolo nuovo – e dove forse ancora deve essere pensato che lo stravolgimento dell’allestimento artistico di un Museo generi dibattito. Fatto sta. Lo avevamo incontrato quando aggirandosi tra le opere esposte diceva: “In effetti gli artisti in mostra sono tutti bianchi, occidentali. Mi hanno tacciato di razzismo selettivo, e forse hanno ragione”. Da lì sarà tutto un crescendo: la scelta come Responsabile di Landvreugd, prodotto di una cultura Wakaman, determinerà una rivoluzione nelle scelte ma anche nelle proposte di chi – improvvisamente – si troverà di fronte a un Museo diverso.
Destabilizzazione è la parola giusta. La cultura ha il dovere di metterla in pratica. Noi l’obbligo di masticarla, elaborarla, criticarla. Bravi, bravissimi i curatori del Docs Festivale di Pordenone che hanno fatto scelte tanto avanti, ma non è una novità. D’altra parte da una terra di frontiera non puoi aspettarti se non lo stridore del confronto (basti pensare che quest’anno non solo si ha una retrospettiva sul documentario femminista di primo livello, ma che verrà anche proiettato La vela gola profonda. Se non è coraggio questo), e poi perché ogni anno assistiamo a proiezioni che troveranno il loro dibattito fuori dalla sala due o tre anni dopo. Non tutti i passaggi sono indolori in questo documentario che andrebbe proiettato nelle scuole.
Come nel dialogo tra due dirigenti dello Stedelijk in cui ci si chiede quanto sia giusto pensare di cambiare il titolo di un’opera in nome di una rivisitazione culturale, senza pensare che sarà totale. “Non possiamo più lasciare questo titolo: Le prostitute”. “Perché?” chiederà la voce off: “Perché la sensibilità è cambiata, e perché loro sono lavoratrici del sesso, sex worker”. Sì, oggi. Ma l’artista scelse Le prostitute, interessa a qualcuno? Stesso discorso pochi frame oltre: il quadro intitolato “con la parola che comincia per N”. E chi vede resta spiazzato. Tra il pubblico c’è chi vorrebbe intervenire per criticare l’eccesso di buonismo e la patina di perdita di orientamento: “Non è possibile accettare passivamente che un Museo cambi pelle solo perché oggi si deve andare nella direzione dell’accettazione ecumenica”. L’intervento è colto, e sposta l’asse su un punto di vista che quand’anche non fosse condivisibile, è sicuramente pertinente.
Ognuno di noi, in sala e sul palco, tace per un momento. Un momento breve, perché tutto sommato, anche se “magari tra cinquant’anni ci diranno che abbiamo sbagliato tutto”, dice sereno Landvreugd, qui in Italia sappiamo che ogni tanto un rimescolamento sarebbe utile, importante, necessario. Pensiamo alle nostre università: se si avesse coraggio di interrompere un sistema precostituito con l’apporto del nuovo si faticherebbe, certo, ma l’arricchimento sarebbe totale.
Intanto ripenso al Museo Stedelijk e alla “parola che comincia per N”, siamo arrivati a questo.
E penso ai miei genitori, che tra i regali più importanti che mi hanno fatto e che hanno gettato le basi della mia coscienza antirazzista mi hanno donato un capolavoro assoluto della letteratura mondiale: Ragazzo Negro di Richard Wright.
Il grido è tutto nel titolo, come la mettiamo?
Chiara Lico
Giornalista e scrittrice
Cultura
Olanda chiama mondo: White balls on walls. Al Pordenone Docs Fest l’inclusività fa dibattito
“Non ho appreso tutto quello che so direttamente dal latte di mia madre, ho studiato duramente nelle migliori scuole del pianeta”. Charl Landvreugd fa il suo esordio di spalle ma è guardando dritto negli occhi che pronuncia le sue parole più dure e sincere: “Io non sono un portatore di diversità, sono il Curatore Responsabile del Museo Stedelijk”. Un biglietto da visita che è una dichiarazione di guerra all’ordine precostituito; lo sa bene il Museo di arte moderna e contemporanea più importante dei Paesi Bassi, che si è visto ri-tirare addosso quelle “White balls on walls” che già in passato gli avevano lanciato contro le Gorillas Girls (gruppo femminista coperto dall’anonimato) e che oggi in Museumplein 10 sta assistendo a una rivoluzione partita dal suo interno.
Problema? Il fatto che l’amministrazione abbia chiesto un’equa distribuzione tra generi, sia a livello di board che di artisti esposti, per poter garantire finanziamenti futuri. Un’occasione che si rivela un processo di autocoscienza sui diritti acquisiti e su quelli ancora da acquisire, primo tra tutti l’inclusività. Che cosa significa, fino a che punto non diventa portatrice di un politicamente corretto sterile (il concetto di quote tra artisti di varie provenienze in effetti è inascoltabile, soprattutto da parte degli artisti per fortuna), dove finisce la tolleranza e dove l’imposizione. Tutto questo e molto di più se lo è chiesto Sarah Vos, regista pluripremiata che in anteprima nazionale ha presentato al Festival del Documentario di Pordenone il suo White balls on walls, dando così origine a un filone tutto da scoprire: quello dell’arte che espone se stessa non per esibirsi ma per far riflettere.
Le prime immagini sono quelle da tenere a mente: c’è il mondo di fuori, che pur stando in Olanda è colorato anche se non assolato e pieno di persone delle etnie più diverse. Dentro, al primo interno che ci viene proposto, il bianco è accecante ed è ovunque. Una metafora che non sfugge, come il tavolo di lavoro che è pieno di soli dipendenti bianchi.
Si parte da qui. E si arriva a una mostra che farà discutere la critica olandese per lo stravolgimento che il Museo, a suo dire, avrebbe subito. Espressionisti esposti accanto ad artisti africani, in un’escalation di significati che porterà anche gli storici dipendenti del Museo a dire: io non voglio smettere di esporre i nostri classici, voglio che i nuovi artisti si aggiungano ai precedenti, e li arricchiscano, li completino.
Sullo sfondo, la figura del direttore del Museo, illuminata quanto eccessivamente morbida – per i canoni di uno Stato come il nostro, che forse ancora deve abbracciare il passaggio al secolo nuovo – e dove forse ancora deve essere pensato che lo stravolgimento dell’allestimento artistico di un Museo generi dibattito. Fatto sta. Lo avevamo incontrato quando aggirandosi tra le opere esposte diceva: “In effetti gli artisti in mostra sono tutti bianchi, occidentali. Mi hanno tacciato di razzismo selettivo, e forse hanno ragione”. Da lì sarà tutto un crescendo: la scelta come Responsabile di Landvreugd, prodotto di una cultura Wakaman, determinerà una rivoluzione nelle scelte ma anche nelle proposte di chi – improvvisamente – si troverà di fronte a un Museo diverso.
Destabilizzazione è la parola giusta. La cultura ha il dovere di metterla in pratica. Noi l’obbligo di masticarla, elaborarla, criticarla. Bravi, bravissimi i curatori del Docs Festivale di Pordenone che hanno fatto scelte tanto avanti, ma non è una novità. D’altra parte da una terra di frontiera non puoi aspettarti se non lo stridore del confronto (basti pensare che quest’anno non solo si ha una retrospettiva sul documentario femminista di primo livello, ma che verrà anche proiettato La vela gola profonda. Se non è coraggio questo), e poi perché ogni anno assistiamo a proiezioni che troveranno il loro dibattito fuori dalla sala due o tre anni dopo. Non tutti i passaggi sono indolori in questo documentario che andrebbe proiettato nelle scuole.
Come nel dialogo tra due dirigenti dello Stedelijk in cui ci si chiede quanto sia giusto pensare di cambiare il titolo di un’opera in nome di una rivisitazione culturale, senza pensare che sarà totale. “Non possiamo più lasciare questo titolo: Le prostitute”. “Perché?” chiederà la voce off: “Perché la sensibilità è cambiata, e perché loro sono lavoratrici del sesso, sex worker”. Sì, oggi. Ma l’artista scelse Le prostitute, interessa a qualcuno? Stesso discorso pochi frame oltre: il quadro intitolato “con la parola che comincia per N”. E chi vede resta spiazzato. Tra il pubblico c’è chi vorrebbe intervenire per criticare l’eccesso di buonismo e la patina di perdita di orientamento: “Non è possibile accettare passivamente che un Museo cambi pelle solo perché oggi si deve andare nella direzione dell’accettazione ecumenica”. L’intervento è colto, e sposta l’asse su un punto di vista che quand’anche non fosse condivisibile, è sicuramente pertinente.
Ognuno di noi, in sala e sul palco, tace per un momento. Un momento breve, perché tutto sommato, anche se “magari tra cinquant’anni ci diranno che abbiamo sbagliato tutto”, dice sereno Landvreugd, qui in Italia sappiamo che ogni tanto un rimescolamento sarebbe utile, importante, necessario. Pensiamo alle nostre università: se si avesse coraggio di interrompere un sistema precostituito con l’apporto del nuovo si faticherebbe, certo, ma l’arricchimento sarebbe totale.
Intanto ripenso al Museo Stedelijk e alla “parola che comincia per N”, siamo arrivati a questo.
E penso ai miei genitori, che tra i regali più importanti che mi hanno fatto e che hanno gettato le basi della mia coscienza antirazzista mi hanno donato un capolavoro assoluto della letteratura mondiale: Ragazzo Negro di Richard Wright.
Il grido è tutto nel titolo, come la mettiamo?
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(Adnkronos) - Papa Francesco "è in prognosi riservata". Lo fa sapere oggi, 22 febbraio, il Vaticano, con un aggiornamento sulle condizioni del Pontefice 88enne,ricoverato dal 14 febbraio al Gemelli per una polmonite bilaterale. "Le condizioni del Santo Padre continuano a essere critiche, pertanto, come spiegato ieri, il Papa non è fuori pericolo". "Questa mattina Papa Francesco ha presentato una crisi respiratoria asmatiforme di entità prolungata nel tempo, che ha richiesto anche l'applicazione di ossigeno ad alti flussi".
"Gli esami del sangue odierni hanno, inoltre, evidenziato una piastrinopenia associata a un'anemia, che ha richiesto la somministrazione di emotrasfusioni. Il Santo Padre continua a essere vigile e ha trascorso la giornata in poltrona anche se più sofferente rispetto a ieri", aggiunge il Vaticano.
Nel bollettino, diramato dal Vaticano, vengono evidenziate delle criticità della salute di Bergoglio che ancora non erano mai apparse in quelli precedenti.
Il bollettino medico di questa sera di Papa Francesco, dice all'Adnkronos Salute, del virologo Fabrizio Pregliasco, "mette in luce un percorso non piacevole che evidenzia le difficoltà di reazione del paziente alla terapia. E ci preoccupa un po', soprattutto perché non c'è solo la polmonite, da quello che ci viene riferito, ma anche questi problemi di bronchite asmatica di cui già soffriva e che in questo momento non aiutano a migliorare le condizioni del polmone".
"È chiaro che in una persona dell'età del Pontefice, con le sue problematiche di salute di base, gli elementi riferiti oggi - la lunga crisi respiratoria di questa mattina e la piastrinopenia, associata ad un'anemia - non evidenziano un percorso di stabilizzazione e guarigione. Per questo motivo i medici hanno parlato di prognosi riservata. Ci auguriamo che Pontefice superi presto questo delicato momento" conclude Pregliasco.
(Adnkronos) - Papa Francesco "è in prognosi riservata". Lo fa sapere oggi, 22 febbraio, il Vaticano, con un aggiornamento sulle condizioni del Pontefice 88enne,ricoverato dal 14 febbraio al Gemelli per una polmonite bilaterale. "Le condizioni del Santo Padre continuano a essere critiche, pertanto, come spiegato ieri, il Papa non è fuori pericolo". "Questa mattina Papa Francesco ha presentato una crisi respiratoria asmatiforme di entità prolungata nel tempo, che ha richiesto anche l'applicazione di ossigeno ad alti flussi".
"Gli esami del sangue odierni hanno, inoltre, evidenziato una piastrinopenia associata a un'anemia, che ha richiesto la somministrazione di emotrasfusioni. Il Santo Padre continua a essere vigile e ha trascorso la giornata in poltrona anche se più sofferente rispetto a ieri", aggiunge il Vaticano.
Nel bollettino, diramato dal Vaticano, vengono evidenziate delle criticità della salute di Bergoglio che ancora non erano mai apparse in quelli precedenti.
Il bollettino medico di questa sera di Papa Francesco, dice all'Adnkronos Salute, del virologo Fabrizio Pregliasco, "mette in luce un percorso non piacevole che evidenzia le difficoltà di reazione del paziente alla terapia. E ci preoccupa un po', soprattutto perché non c'è solo la polmonite, da quello che ci viene riferito, ma anche questi problemi di bronchite asmatica di cui già soffriva e che in questo momento non aiutano a migliorare le condizioni del polmone".
"È chiaro che in una persona dell'età del Pontefice, con le sue problematiche di salute di base, gli elementi riferiti oggi - la lunga crisi respiratoria di questa mattina e la piastrinopenia, associata ad un'anemia - non evidenziano un percorso di stabilizzazione e guarigione. Per questo motivo i medici hanno parlato di prognosi riservata. Ci auguriamo che Pontefice superi presto questo delicato momento" conclude Pregliasco.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Meloni viene da una storia politica, a differenza di quella liberale e radicale, che non ha considerato nei decenni gli Usa e l’atlantismo come imprescindibili per l’Italia e l’Europa". Lo scrive Benedetto Della Vedova sui social.
"Oggi la troviamo nel suo intervento alla Cpac, come zelante difensore dell’indifendibile, cioè di Trump. Trump ha sempre sostenuto anche nel suo primo mandato, falsando la realtà, che l’Unione europea fosse stata creata per approfittare degli Usa. Con lui bisognerà fare i conti, naturalmente, ma Trump non è stato e non sarà amico della Ue e men che meno dell’Ucraina che è pronto a sacrificare per l’amicizia con Putin: Meloni se ne faccia una ragione, non può essere contemporaneamente amica di Trump e della Ue, deve scegliere".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Un trionfo di vittimismo su scala planetaria. A servizio dei potenti, altro che popolo! Meloni con il suo intervento alla Cpac in corso a Washington ha fatto una scelta di campo, contro l’Europa. Forse persegue il suo interesse politico, ma non è l’interesse nazionale". Lo scrive sui social Peppe Provenzano, responsabile Esteri del Pd.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Sorprende che nessuno di La 7 prenda le distanze dall’orribile auspicio che Salvini venga colpito da un ictus. L’alibi della trasmissione satirica non assolve autori, ospiti, dirigenti ed editori. Purtroppo, troppe trasmissioni di La 7 e di Rai 3 istigano all’odio e avvelenano il clima del Paese. Editori, dirigenti, odiatori chiederanno scusa pubblicamente?”. Lo dichiarano i Capigruppo di Forza Italia alla Camera e al Senato, Paolo Barelli e Maurizio Gasparri.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Neanche un accenno al saluto nazista di Bannon. Nessuna presa di distanze. Evidentemente non può farlo. Meglio la retorica melensa e consueta dell’approccio Maga. Sposa su tutta la linea ideologica la retorica di JD Vance a Monaco, e chiude la porta ad una reale soggettività europea. Un discorso furbesco e ambiguo, di chi ha scelto di galleggiare e che posiziona il governo italiano sulla linea Orban con buona pace di tutte le chiacchiere a vuoto sull’ambasciatrice dei due mondi". Lo scrive sui social il senatore Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Italia Viva, a proposito dell'intervento di Giorgia Meloni alla Cpac di Washington.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - “Tante bugie, in linea con la propaganda di Meloni. Il suo è il governo delle insicurezze. Sicurezza energetica? Falso. Ha fatto aumentare le bollette, rendendo le famiglie italiane meno sicure e più povere. Sicurezza alimentare? Falso". Così in una nota Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde.
"Con il suo negazionismo climatico favorisce la crisi dell’agricoltura e il dominio delle grandi multinazionali. Libertà di parola? Falso. Difende il vice di Trump, Vance, che vuole la libertà di diffondere bugie attraverso i social, strumenti nelle mani dei potenti miliardari americani. Difende la democrazia? Falso. È lei che vuole demolire gli organi costituzionali per diventare una e trina: Dio, Patria e Legge. I conservatori del mondo vogliono costruire il nuovo totalitarismo mondiale grazie al potere economico, tecnologico e militare di cui dispongono per trasformare la democrazia in un sottoprodotto commerciale della loro attività”.