Una sentenza dopo l’altra. Così avanza la campagna elettorale ai piedi dell’Etna, altrimenti ferma su veti incrociati, appelli e attendismi strategici. A destra come a sinistra la campagna elettorale di Catania sembra andare avanti a rilento a causa alle divisioni interne alle coalizioni. Sulle quali, inevitabilmente, influiscono le recenti sentenze. La prima è stata, lo scorso 6 marzo, quella della Cassazione che ha assolto Raffaele Lombardo dall’accusa di corruzione elettorale e concorso esterno alla mafia, di fatto restituendogli una “verginità” politica che ha amplificato il suo peso elettorale ai piedi dell’Etna alla vigilia delle comunali del 28 e 29 maggio, quando in Sicilia si apriranno le urne anche in altri 127 comuni. L’ultima è, invece, quella della corte d’Appello della Corte dei conti che, venerdì sera (31 marzo) ha condannato Enzo Bianco per il dissesto finanziario di Catania. L’ex sindaco dovrà risarcire 39mila euro, ed è stato anche dichiarato incandidabile per 10 anni.
L’ex sindaco: “Sentenza è un obbrobrio giuridico” – Un vero e proprio shock elettorale per Bianco che ormai da settimane aveva lanciato la ricandidatura. L’ex primo cittadino (due volte negli anni ’90 e una nel 2013), già ministro degli Interni nei governi D’Alema e Amato, era andato avanti come un treno ignorando anche gli appelli del suo stesso partito, il Pd, a confluire nelle liste della coalizione. Ma lui è passato oltre, inesorabile, nonostante fosse attesa la sentenza di secondo grado: “Com’è possibile che non abbia valutato che su di lui pendeva questa imminente pronuncia? È da non credere”, dicono nelle file catanesi del centrosinistra. Di sentenza “sorprendente” parla lo stesso Bianco che la definisce anche un “obbrobrio giuridico”: “Tutti i vari pronunciamenti di questi anni hanno ridotto la pena e cancellato l’interdizione – sostiene l’ex sindaco – Sorprende invece che, a due mesi dal voto amministrativo, quest’ultima sentenza si pone in evidente controtendenza. E priverà i catanesi di potersi esprimere sulla mia persona”. Ma sul ritiro dalla corsa elettorale ci sono ancora dubbi: dal ricorso al Tar, al conflitto di attribuzioni, tutte le ipotesi per mantenere la candidatura sono adesso al vaglio dei legali di Bianco. Che promette: “È chiaro che io non mi arrenderò mai. A prescindere da quanto tempo ci vorrà, lavorerò con tutte le forze e in ogni grado di giudizio, per cancellare questo obbrobrio giuridico”.
Le reazioni a sinistra – Una sentenza che, comunque vada, inevitabilmente, entra a piè pari nella campagna elettorale cambiando le carte in tavola in entrambi gli schieramenti. Da un lato il centrosinistra che ha iniziato la corsa elettorale con un brutto pasticcio, ovvero presentando un primo nome subito ritirato. Si trattava di Emiliano Abramo, presentato subito alla stampa come il nome che aveva messo tutti d’accordo, ovvero M5s, Pd e sinistra. Peccato che dopo appena tre giorni dall’annuncio, Abramo si è ritirato, non avendo voluto sottoscrivere un impegno a non stringere alleanze con Lombardo. Alla fine il nome unitario è stato trovato: è quello di Maurizio Caserta, docente di Economia, già candidato nel 2013, sconfitto proprio da Bianco. L’uscita di scena dell’ex sindaco, d’altronde, rimescola le carte pure nel centrodestra etneo dove ancora un candidato non c’è. I meloniani rivendicano la guida di Catania: “Considerando che siamo il primo partito d’Italia – dice un esponente etneo – ma non governiamo in nessuna grande città né la Regione, va da sé che la scelta ricada su un nostro candidato”. Sì, ma quale? È da settimane, infatti, che proprio all’interno di Fdi i veti incrociati rallentano la decisione che ora verrà presa da Meloni entro 10 giorni: “Sono malumori locali che non hanno alcun vero peso. La scelta avverrà a Roma e non si basa certo su questi veti. Parlare di spaccature interne a Fdi è improprio”, sostiene un altro esponente del centrodestra regionale.
Le lotte intestine della destra – I veti in realtà ci sono, i nomi attualmente in campo sembrano infatti scontentare comunque una parte del partito. Il più quotato è Sergio Parisi, ex assessore della giunta dell’ex sindaco, Salvo Pogliese, ma inviso – sembrerebbe – a quella parte di Meloniani che fa capo a Manlio Messina, attuale vice capogruppo di Fdi alla camera. Proprio Messina è uno dei papabili candidati di Fdi, ma pare sia lui stesso a non volere rinunciare al posto in Parlamento. Mentre non è ancora escluso il nome di Ruggero Razza, ex assessore regionale alla Salute, delfino del ministro Nello Musumeci, considerato divisivo all’interno del suo partito ma vicino anche a Raffaele Lombardo che col suo Mpa presenterà tre liste, puntando a superare il risultato delle scorse regionali quando a Catania raccolse il 10 per cento. Nell’impasse dei meloniani si fa strada il nome della leghista Valeria Sudano. Con un’importante eredità politica familiare alle spalle, la corsa politica di Sudano sarebbe però invisa ai lombardiani: “Il suo compagno è il vicepresidente della Regione (Luca Sammartino, ndr). Lei candidata a Catania mentre lui siede lì non è pensabile”, mormorano però dalle file del centrodestra etneo. Ma a spalleggiare la sua candidatura c’è Annalisa Tardino, coordinatrice regionale della Lega: “Ci aspettiamo un nome che sia all’altezza di quello che stiamo proponendo noi”. Un’affermazione che sembrerebbe puntare proprio contro l’ipotesi di Parisi candidato, considerato da alcuni non una scelta di altissimo profilo. Di certo però c’è che la scure abbattutasi sulla campagna elettorale di Bianco adesso cambia lo scenario politico: “È normale che Meloni adesso voglia considerare tutte le variabili in campo”, ribadiscono dalle retrovie di Fdi. Il punto, infatti, secondo alcuni osservatori, è che la partita nel centrodestra non è ancora chiara solo perché la vittoria non solo sarebbe certa ma lo sarebbe anche con percentuali bulgare. In quest’ottica, in uno scenario frastagliato, anche con numeri non da capogiro si potrebbe arrivare al ballottaggio (che in Sicilia scatta se non si raggiunge la soglia del 40 e non del 50 percento come nel resto d’Italia). Per questo dopo l’uscita di scena di Bianco – sempre che avvenga – Meloni potrebbe prendersi ancora qualche giorno per valutare meglio lo scenario complessivo.
Il risiko nel resto dell’isola: a Belpasso dem con Fi e Lega – Intanto il centrodestra si è ricompattato a Siracusa e Ragusa e avrebbe ricucito anche a Trapani. Nella prima città il centrodestra ha deciso di convergere sul candidato di Fi, Ferdinando Messina, scelta che ha però creato defezioni proprio interne ai forzisti: dopo la virata su Messina, Edy Bandiera si è autosospeso dal partito. E mentre Renato Schifani lancia appelli al suo partito dalle pagine del Corriere della Sera, perché non si appiattisca sulle posizioni di Fdi, il partito perde pezzi in Sicilia, dove, dopo il braccio di ferro con Gianfranco Micciché (ampiamento vinto – al momento – da Schifani) dovrà portare risultati elettorali che non sfigurino di fronte al recente passato. A Siracusa trovano il punto di fusione anche Pd e M5s che assieme al resto della sinistra sostengono Renata Giunta. A Ragusa il centrodestra punta su un civico, Giovanni Cultrera, mentre il centrosinistra non è compatto: M5s punta sul capogruppo in consiglio comunale, Sergio Firrincielli, mentre il Pd va con il centro (tra cui Azione) su Riccardo Schininnà. Cambia lo scenario a Trapani, dove il leghista Mimmo Turano sembra essere rientrato tra i ranghi del centrodestra, promettendo che sosterrà i candidati della coalizione, nonostante il suo noto appoggio – con tanto di lista – al sindaco uscente del Pd, Giacomo Tranchida. Ma a presentare strane alleanze ci pensa Belpasso, piccolo comune sull’Etna (più di 28mila abitanti): il Pd qui corre con Lega ed Forza Italia a sostegno di Salvo Licandri. I dem non ci mettono il simbolo, a dire il vero, mentre lo mantengono sia Lega che Fi. Il Pd però lo sostiene apertamente pure dalle proprie pagine sui social. Scenari – impazziti – da comunali.