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“Emanuela Orlandi è passata per Londra dopo il rapimento”. Il fratello Pietro: “Ho trovato documenti in cui ci sono riscontri”

“Ho motivo di credere che Emanuela sia passata per Londra”: così ieri Pietro Orlandi al giornalista Giovanni Floris che lo ha ospitato nel suo programma DiMartedì in onda su La7 per parlare di sua sorella Emanuela, cittadina vaticana scomparsa a 15 anni il 22 giugno del 1983. Orlandi si riferisce nella fattispecie ai famosi cinque fogli divulgati nel 2017 dal giornalista Emiliano Fittipaldi. Il documento, venuto fuori da una cassetta di sicurezza della Prefettura degli Affari Economici, contiene un accurato rendiconto delle spese sostenute dalla Santa Sede per mantenere la ragazza, in regime di costrizione, in un convento di Londra, per una spesa complessiva di quasi mezzo miliardo delle vecchie lire.

Pietro Orlandi, lei crede che Emanuela, una volta rapita, sia stata portata a Londra?
Ciò che c’è scritto in quel documento è vero, ne sono abbastanza convinto. Non è opera di mitomani come hanno voluto far credere appellandosi a dei dettagli (in una lettera ci si riferisce agli arcivescovi con “riverita” anziché “reverendissima”, nda). Quando fu bollato come falso, io ho continuato le mie indagini e sono entrato in possesso di documenti in cui ci sono riscontri che mi dicono che quanto c’è scritto in quei fogli è vero. Alcune persone, in contatto con personalità della Chiesa Anglicana, mi hanno detto delle cose in relazione alla presenza di Emanuela a Londra. Non l’ho mai detto prima d’ora, ci sono delle relazioni tra personaggi di alto livello del Vaticano e le istituzioni inglesi sulla questione di mia sorella. Prima di renderli pubblici, alla mercè di tutti, devo trovare un modo per dimostrarne l’autenticità in maniera assoluta, così da proteggerli dalle accuse di chi vorrebbe delegittimarli. Ho fatto errori in passato che non ripeterò. Spero di avere le prove per quando inizierà la commissione parlamentare.

Perché Emanuela sarebbe stata portata a Londra, dopo il rapimento?
Non potevano certo riconsegnarla alla famiglia, lei avrebbe raccontato quanto le era accaduto. Era coinvolta anche la malavita romana, erano tutti a rischio. Cosa c’era di meglio che sistemarla in un posto “vicino a Dio” ma all’Estero? Forse, era anche un modo per lavarsi la coscienza. Nel 1983 il Vaticano era certo nessuno avrebbe messo il naso in casa propria e nei suoi affari.

Lei ieri anche dichiarato che la pedofilia in quegli anni era un vizio comune all’interno del Vaticano
Fino a qualche anno fa non era neanche considerato un reato, e i vescovi non erano tenuti a denunciare gli abusi sessuali sui minori. Mediaticamente, non ne parlava nessuno. Qualche anno fa ho incontrato un ex gendarme del Vaticano, mi disse che non appena sparì Emanuela, due giorni dopo, erano andati con la foto di mia sorella da quei tre o quattro cardinali che avevano il “vizietto” con le ragazzine, mi disse. Gli fecero vedere una foto di Emanuela e gli risposero, dopo averla scrutata bene: “No, questa ragazza, no”. Me lo raccontò con tutta la naturalezza possibile. Questo per dire che nell’83 la pedofilia all’interno del Vaticano era accettata. Lo era a qualunque livello, dai gendarmi così come dai vertici. Ma io non credo che quello di Emanuela sia solo un abuso di pedofilia, ne sarebbero già usciti. È stato un rapimento premeditato per ricattare qualcuno, se c’entra la pedofilia è stata usata per accrescere l’oggetto del ricatto. Sapevano ciò che facevano i cardinali. Ci sono stati due ricatti: uno mediatico e l’altro sotterraneo. Il primo ha alzato l’attenzione a livello mondiale e quello sotterraneo era rappresentato da un oggetto molto forte per colpire qualcuno. Penso a quell’audio, alla famosa cassetta fatta recapitare il 17 luglio dell’83 all’Ansa. Può darsi che audio era messaggio per quelle persone, del tipo: ti ricordi è quello che è successo quel giorno? Si sente il rumore di un proiettore in sottofondo, forse avevano in mano il filmato di un abuso. Forse qualcuno ha ripreso di nascosto qualcosa.

Di recente è venuto fuori anche il nome di Papa Wojtyla: l’ex fiancheggiatore della Magliana Marcello Neroni l’ha tirato in ballo nelle storie di pedofilia in un’intercettazione ambientale
Non posso essere io a dire se sia vero ma qualcuno dovrebbe verificare quanto ha dichiarato Neroni. Non bisogna aver paura di verificare, nel 2023 non deve esserci nessuna persona intoccabile soprattutto se si hanno dei dubbi. Ne ho parlato con un monsignore di recente. Mi ha risposto: ah sì, certo, è possibile. Gli ho detto: ma ha capito di chi parlo? Non si è affatto stupito. Non bisogna fare distinzioni, aver paura a nominare il nome di un Papa anche se è stato fatto santo. Certo, se fossi io a condurre l’inchiesta in Vaticano convocherei Marcello Neroni e gli chiederei che prove ha in mano per dimostrare che è vero quanto dice, cioè che anche Wojtyla era coinvolto nei casi di pedofilia. Non può passare tutto come se fosse la normalità.

Coinvolgere Papa Wojtyla metterebbe a rischio l’immagine della Chiesa nel mondo
Io credo che se Papa Francesco facesse venire fuori la verità, l’impatto sarebbe limitato dal fatto che sono stati loro a fare il mea culpa. Ma se manterranno il silenzio fino alla fine, quando la verità verrà fuori comunque ci sarà un crollo. Ma sembra si preferisca accettare i dubbi dell’opinione pubblica piuttosto che far venire fuori nomi importanti.