Ibrahim Metwaly, 58 anni, avvocato per i diritti umani e co-fondatore del gruppo delle “Famiglie degli scomparsi in Egitto”, è in carcere da oltre 2000 giorni. È stato arrestato il 10 settembre 2017, mentre stava per imbarcarsi su un volo diretto a Ginevra per prendere parte a una sessione del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate dedicata al suo paese. Un tema su cui purtroppo era esperto: suo figlio Amr è stato uno dei primi desaparecidos dell’era al-Sisi, scomparso nel nulla dopo l’arresto, avvenuto l’8 luglio 2013, nella prima settimana del colpo di stato.

Metwaly è stato torturato per 48 ore prima di iniziare la consueta trafila delle udienze di convalida della detenzione preventiva.

Nonostante la procedura egiziana fissi un limite di tempo di due anni per la fine delle indagini, Metwaly è stato vittima di quel sistema infernale delle “porte girevoli” (in arabo tadweer, letteralmente rotazione). Funziona così: durante o alla fine della detenzione preventiva o al temine di una condanna, la procura associa il prigioniero a una nuova indagine, pretestuosa e basata sul nulla come le precedenti. In questo modo, si ricomincia dal giorno zero. Ecco perché un avvocato alla ricerca di suo figlio e di altri scomparsi è da quasi sei anni nelle galere egiziane, accusato di reati inesistenti come fondazione e direzione di un gruppo illegale, cospirazione con soggetti stranieri per danneggiare la sicurezza dello stato e pubblicazione di notizie false.

Qui la scheda sulle violazioni dei diritti umani in Egitto, tratta dal Rapporto 2022-2023 di Amnesty International.

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