Cinema

L’appuntamento, dalla regista di Dio è donna e si chiama Petrunya un gioco delle coppie che è metafora del puzzle politico della ex Jugoslavia

di Davide Turrini

Il puzzle politico nella ex Jugoslavia è ancora tutto terribilmente da ri-costruire. Se volete capire di che ferite nel corpo e fenditure nello spirito ancora aperte parliamo, andate a vedere L’appuntamento, il film diretto dalla macedone Teona Strugar Mitevska, nelle sale italiane del 6 aprile prossimo, distribuito da Teodora. Ebbene l’autrice di Dio è donna e si chiama Petrunya (2019) ci porta dentro al tunnel spaziale e metaforico di un ipotetico gioco delle coppie, o speed date, chiamato Tocco di felicità in quel di Sarajevo.

Una quarantina di partecipanti, metà donne e metà uomini, seduti a coppie in una manciata di tavoli di una sala conferenze di un hotel (con i sarcastici nomi di città svizzere) e le finestre che danno su un tragico paesaggio. Alla 45enne single Asja (Jelena Kordic Kuret) tocca in sorte Zoran (Adnan Omerovic), sinistro figuro magro e ossuto vagamente maudit. Una voce all’altoparlante declama domande tra l’intimo, il sentimentale e il culturale. Ogni coppia risponde poi pigia un tasto sul proprio tavolo scegliendo tra rosso e verde. Solo che dopo poco i tasselli combinatori di etnia, religione, nazionalità, atti violenti passati, gesti di quasi umanità presente, emergono dal vissuto di Asja e Zoran, come se esistesse un rapporto diretto, ben oltre cuore e amore, legato alla guerra e impossibile da ricucire.

Compresso in unico spazio di scena, suddiviso in apparenti diversivi tematici (pranzo, palla prigioniera, il ballo, il cerchio), L’appuntamento gode di una franca e pungente intensità drammaturgica come di un coreografico altalenante avvicinamento/allontanamento tra vittima e carnefice che fin da subito slitta verso un rabbioso e furioso ribaltamento di ruoli. Mitevska non perde l’occasione di rendere protagonista assoluta una donna e le sue profonde lacerazioni psicofisiche per far transitare dal passato recentissimo al tempo grigio dell’oggi una sorta di allegoria corale di una nazione e poi chiudersi, stringersi, quasi strizzarsi formalmente in un’inquadratura peculiare di Asja e Zorna che sta tra il primissimo piano e il dettaglio, un quadro che mozza le narici e fa spiovere i capelli da un cranio di cui non si vede la sommità. Mirabile il sottofinale caldo, libero e vivo dedicato alle giovani generazioni che verranno. Ispirato alla vita della sceneggiatrice del film, Elma Tataragic. Coproduzione amplissima: Macedonia del Nord, Slovenia, Danimarca, Croazia, Bosnia ed Erzegovina.

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