Ad azione, reazione. Dopo l’annuncio a sorpresa del taglio della produzione di petrolio deciso ieri dall’Opec e dalla Russia il prezzo del greggio sale del 5,5%. Il brent (petrolio estratto nel mare del Nord che fa da riferimento per gli scambi europei) è salito sopra gli 84 dollari al barile. La metà dei tagli saranno operati dall’Arabia Saudita, primo esportatore al mondo, che con questa mossa ribadisce il suo atteggiamento d contrapposizione nei confronti degli Stati Uniti che auspicavano invece un aumento dell’offerta di greggio. La spinta ai prezzi che deriva dal calo dell’offerta, se duratura, rischia di aumentare di nuovo le pressioni inflazionistiche. Nelle ultime rilevazioni era emerso un rallentamento della corsa dei prezzi sia negli Usa che in Europa.

I tagli alla produzione petrolifera sono “nell’interesse dei mercati globali dell’energia”, ha detto stamane il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. “Coloro che controllano i combustibili fossili stanno giocando. Vedono che i prezzi stanno scendendo perché la domanda sta diminuendo, e allora producono di meno per aumentare i prezzi”. Lo ha detto il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, commentando la decisione dei produttori di petrolio dell’Opec+. “Questo aumento dimostra che si tratta di un mercato artificiale” e che “è urgente muoversi verso l’autonomia energetica, anche con il nucleare”, ha evidenziato il commissario, sottolineando che per l’Ue “è urgente accelerare la decarbonizzazione”.

Dopo aver toccato il prezzo più basso da 15 mesi a metà marzo (72 dollari al barile), il petrolio si riporta sui valori dell’inizio del mese scorso e su quotazioni storicamente piuttosto elevate. In rialzo, in scia al petrolio, anche le quotazioni del gas che guadagnano il 3% e si riavvicinano ai 50 euro al megawatt/ora. Così come in deciso rialzo sono i titoli delle compagnie petrolifere. Shell, sale a Londra del 4%, Eni del 3,6% a Milano.

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