Lo stallo sullo stop del 2035 alla vendita di motori termici alimentati a carburanti di derivazione fossile è stato superato solo pochi giorni fa, con l’apertura di Bruxelles alle benzine sintetiche (anche se, probabilmente, la discussione terrà banco pure nei prossimi mesi, col tema dei biocarburanti). Tuttavia, nei giorni che precedevano l’accordo e in quelli immediatamente successivi allo stesso, non sono mancate le dichiarazioni ufficiali dei pezzi da novanta dell’industria automotive e non solo.
Fra questi va segnalata la netta presa di posizione da parte di Jim Rowan, ceo di Volvo, azienda di proprietà dei cinesi del gruppo Geely, fra i principali sostenitori (e beneficiari) della svolta elettrica europea. Rowan, nei giorni del braccio di ferro fra Germania, Italia e Parlamento Europeo, scriveva su LinkedIn: “L’anno scorso, i Governi dell’Ue e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo storico sulla definizione di un obiettivo di emissioni zero allo scarico per tutte le nuove autovetture e i furgoni entro il 2035”. Un’intesa considerata dal numero uno della Volvo “una dimostrazione di leadership globale dell’Ue in materia di clima, in un momento critico per il nostro pianeta e l’umanità”.
Sicché, in merito alle istanze per far sopravvivere i propulsori termici, rendendoli più ecosostenibili, il Ceo della Volvo puntava il dito contro Italia e Germania: “Stanno cercando di far deragliare il processo. Non è il momento di fare marcia indietro e di bloccare gli obiettivi climatici basati sulla scienza per la nostra industria. Non è il momento di anteporre gli interessi politici nazionali alla salute e al benessere del nostro pianeta, dei cittadini dell’Ue e delle generazioni future. È il momento di una politica e di una leadership forti, decisive e progressiste”. Insomma, un’intemerata contro i motori termici e contro ogni soluzione alternativa all’elettrico in nome dell’ambiente, almeno su carta. “Siamo consapevoli del nostro obbligo di contribuire a proteggere il pianeta. Chiediamo ai Governi dell’Ue di dimostrare che lo sono anche loro”, chiosava Rowan.
Negli stessi giorni, dalle parti di Parigi, concetti simili venivano espressi da Bruno Le Maire, Ministro dell’Economia della Repubblica francese, la quale possiede una quota di partecipazione nella Renault e suoi rappresentanti siedono all’interno del cda dell’azienda: “Non possiamo dire che c’è un’emergenza climatica e poi ritirarci dalla transizione verso i veicoli elettrici. Siamo pronti a combattere perché è un errore ambientale ed economico. Dire che andremo verso l’elettrico, ma rimarremo per un po’ con l’endotermico è economicamente incoerente e pericoloso per l’industria. Non è nel nostro interesse nazionale, non è nell’interesse delle case automobilistiche e non è nell’interesse del pianeta”.
Trovato l’accordo europeo sugli ecofuel, a parlare è stato poi Luca de Meo, a capo del sopracitato gruppo Renault: “Nessuno sta più sviluppando un motore termico completamente nuovo in Europa. Tutti i soldi vanno alla tecnologia elettrica o all’idrogeno. Tutti i fornitori dei produttori stanno smettendo completamente di investire nei motori termici”. L’addio alle endotermiche? “Irreversibile” per de Meo. In definitiva fra Renault (e la Francia) e Volvo (leggasi Geely) sembra esserci una comunanza di vedute abbastanza evidente.
Però c’è un “però”: lo scorso novembre erano state proprio le medesime Geely e Renault a siglare una joint venture per sviluppare e produrre su larga scala motori a benzina e ibridi di nuova generazione, ad alta efficienza. E nell’accordo è entrato recentemente un nuovo socio, la compagnia petrolifera saudita Aramco che, oltre ai soldi, porterà in dote il suo know-how su e-fuels e idrogeno (da quest’ultimo, che può anche essere utilizzato direttamente nei motori a scoppio, si ricavano i carburanti sintetici). “Questa partnership con Aramco ci darà un vantaggio nella corsa verso la tecnologia di propulsione termica a bassissime emissioni”, dichiarava Luca de Meo a inizio marzo.
La Renault ha ufficializzato che questo progetto si articolerà su 17 stabilimenti, otto dei quali di proprietà della casa francese (in America Latina, Europa e Turchia), e nove appartenenti a quella cinese: di questi ultimi, otto impianti produttivi saranno ubicati in Cina e uno in Svezia (patria della controllata Volvo). Geely metterà sul tavolo pure due centri di ricerca e sviluppo, uno ad Hangzhou, in Cina, e l’altro a Göteborg, sempre in Svezia. Dal canto suo, la Renault offrirà alla joint venture tre centri R&D, situati in Europa e America Latina.
Il target della joint-venture sino-franco-saudita, quindi, finisce per stridere con parole e propositi di manager e politici, riportate pocanzi: Renault, Geely e Aramco, infatti, aspirano a diventare leader dei propulsori a combustione e ibridi già entro la fine del 2023, impiegando un totale di circa 19 mila persone per un fatturato annuo di 15 miliardi di euro. Il tutto, per una capacità produttiva annuale che dovrebbe superare i cinque milioni di motori bielle e pistoni, suddivisi tra unità a combustione interna, ibride e ibride plug-in.