Le famiglie italiane hanno dato un dispiacere al ministro dell’Istruzione e del Merito (MIM), Giuseppe Valditara, che si era molto speso in dichiarazioni e annunci. La scelta della scuola secondaria superiore anche quest’anno ha seguito una traiettoria che ormai sembra segnata da tempo. Il sistema dei licei rappresenta la scelta preferita delle famiglie raccogliendo il 57% delle iscrizioni. Seguono gli istituti tecnici con il 31% e poi le scuole professionali con il rimanente 12%. Se ritorniamo indietro nel tempo, per esempio all’anno scolastico 2005-2006, troviamo i seguenti dati abbastanza differenti: i licei erano ancora in testa ma con il 42% degli iscritti. Seguivano gli istituti tecnici con il 33% e da ultimo i professionali con il 23%. Quindi, se vi è stata una tendenza in questi ultimi due decenni è stata il progressivo declino della scuola professionale, quella che prepara direttamente al mercato del lavoro, mentre si è mantenuta sostanzialmente stabile la quota di famiglie che hanno optato per una formazione tecnica, un tipo di diploma che peraltro è una caratteristica unica in Europa. Il sistema scolastico ha voltato le spalle a quella ideologia produttivistica che il ministro sostiene acriticamente in tutte le sedi.

La liceizzazione della scuola superiore e lo spostamento dell’istruzione non liceale verso l’alto, quali conseguenze può avere sull’economia e sulla società? Qui il discorso è abbastanza complesso e i dati andrebbero analizzati più in dettaglio, anche a livello regionale. Emergono però due tesi contrapposte:

1. quella di coloro che, come il ministro Valditara, esprime una grande preoccupazione per questa fuga dalle professioni basse. È la voce delle imprese a caccia della manodopera con qualifiche artigianali che manca. Il ministro ha anche dichiarato che avrebbe mandato una lettera ai genitori per informarli delle notevoli opportunità economiche della formazione professionale. Lettera mai arrivata per inerzia ministeriale, e che di sicuro non arriverà perché richiede troppe informazioni al dettaglio.

2. quella di chi invece vede in questa evoluzione dell’istruzione un mutamento qualitativo consono ai livelli di reddito e di benessere del nostro paese.

Rimane la domanda di fondo: per quale ragione le famiglie italiane stanno snobbando da anni la formazione professionale orientandosi verso quella tecnica, o peggio ancora per alcuni verso quella liceale? Facendo così hanno agito in maniera razionale oppure hanno destinato, come sostiene il ministro Valditara, i figli ad una amara disillusione economica? Per spiegare questo comportamento sembrano emergere due ordini di motivi.

Il primo è di carattere familiare e di tipo sociologico. Molti studenti di oggi hanno i genitori diplomati che aspirano ad un percorso scolastico più lungo per i loro figli. Il secondo, forse più importante, è che la scelta professionalizzante viene rimandata, di fatto, al percorso universitario. Le statistiche ci dicono che il 50% dei diplomati va all’università ed è qui che si realizza la scelta professionalizzante. In altre parole, ora la figura del diplomato tende ad essere piamente sovrapponibile a quella del laureato di primo livello. C’è stato, e non solo in Italia, un innalzamento del livello di istruzione per tutti e le famiglie si sono adeguate. Quindi non si tratta di un errore ma semplicemente di un cambiamento di prospettiva. Ed è per questa ragione che le esortazioni appassionate del ministro cadranno nel vuoto. Serve a poco informare le famiglie che un artigiano guadagnerà abbastanza bene. La scelta scolastica non è disegnata solo in funzione delle finalità economiche.

Ma questa osservazione, se vera, apre nuovi scenari anche per una possibile riforma della scuola superiore. Un’ipotesi potrebbe essere quella di portare l’istruzione obbligatoria di tipo generalista a 18 anni e poi prevedere dei percorsi annuali o biennali di formazione tecnica o professionale. Ecco allora che a 18 anni, acquisita la necessaria formazione di base, la scelta di dedicarsi agli studi universitari oppure a quelli che preparano ad una professione specifica (geometra, contabile, elettricista, meccanico, ecc.) sarebbe più interessante sul modello dei technical college americani, studi post-diploma della scuola dell’obbligo ma non studi universitari.

Oggi, circa il 90% dei ragazzi e delle ragazze italiane ha un diploma tecnico oppure una laurea. Pensare che possano tornare indietro e accettare ruoli professionali che non rispettano il loro grado di istruzione è utopico, anche se in molti casi è quello che si verifica per necessità. Il sistema della scuola superiore italiana, travolto dalla scolarizzazione di massa, va ridisegnato per soddisfare i bisogni dell’economia e della società, guardando avanti però, e non tornando indietro come vorrebbe il ministro Valditara ad una scuola d’élite di stampo gentiliano. Come?

Non è un’impresa facile, anche guardando alle esperienze internazionali. Limitarsi alle esortazioni, anche se fatte con le migliori intenzioni, non produce alcun risultato perché ciascuna famiglia guarda alle sue scelte individualistiche. È la politica scolastica che deve intervenire per indirizzare il processo di una sempre più ampia scolarizzazione nella giusta direzione per non avere troppi diplomati o laureati, come sta accadendo ora, e non solo in Italia. Aspettiamo dal ministro riposte più serie che inviare una lettera esortativa – che comunque non è ancora arrivata. Anche il nuovissimo liceo del Made in Italy (terminologia inglese da sanzionare?) che piace a Meloni, futuro fiore all’occhiello del conservatorismo scolastico, non credo che potrà cambiare molto le cose.

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