Diritti

Gravidanza per altri, il punto di partenza è parlarne correttamente. Altro che utero in affitto

Il tema della gravidanza per altri non ha un vero spazio di discussione in Italia. Un fermo parere contrario accomuna tendenzialmente destra e sinistra, salvo qualche eccezione. Difficile che si arrivi a un dialogo informato e produttivo sulla surrogacy finché non ci educheremo a parlarne con consapevolezza e, prima ancora, a non commettere l’errore che invece la politica italiana ripete ciclicamente: parlare di gpa solo in relazione alle famiglie arcobaleno o al matrimonio egualitario. Premesso che le maggiori associazioni di Psicologia e salute mentale del mondo, comprese quelle italiane, hanno più volte confermato che né il numero né il genere dei genitori garantiscono di per sé condizioni di sviluppo migliori o peggiori per i bambini, a fare ricorso alla gestazione di sostegno sono principalmente coppie uomo-donna, spesso dopo vari cicli di fecondazione in vitro o altra pma (procreazione medicalmente assistita) falliti.

Il primo passo che dovremmo fare quando ci approcciamo a temi politicamente freschi è quello di parlarne correttamente. Non è un caso che Salvini, Roccella, Carfagna e tanti altri si riferiscano alla gpa con il termine “utero in affitto”. Una definizione di questo tipo ha due scopi: innanzitutto annulla completamente la presenza di una donna che sceglie cosa fare con il proprio corpo, trasformandola in un pezzo di sé, come se le due cose potessero essere separate; in secondo luogo, richiama l’attenzione sull’aspetto economico dell’accordo: si affitta qualcosa in cambio di qualcos’altro, proprio come per un garage o una macchina a noleggio.

Termini dalla connotazione più neutra sono surrogacy (ma occhio a non far arrabbiare Rampelli, altrimenti vi fa la multa!), maternità surrogata e gestazione di sostegno. A differenza di altre tecniche di procreazione medicalmente assistita, qui la persona esterna alla coppia non è semplicemente una donatrice di materiale genetico, ma parte attiva della costruzione di una famiglia ed è proprio questa presenza così significativa a sollevare discorsi etici che invece non sembrano riguardare la donazione genetica. Rispetto a questo tema, è importante sottolineare che la dicitura più corretta per il dibattito è gpa, traducibile in due modi: gravidanza per altri o gestazione per altri. Nella nomenclatura scientifica si tratta di casistiche differenti, poiché nel primo caso la donna surrogata ha un legame genetico con il nascituro, mentre nel secondo ha il ruolo di “portatrice”, cioè porta a termine la gestazione ma il dna del nuovo nato arriva dai due genitori o da altri donatori esterni (un po’ come fu Maria di Nazareth per il dio dei cristiani, a tutti gli effetti portatrice di Gesù al mondo senza avere con lui alcun legame biologico).

Sembrano percorsi intricati e complessi e, per la verità, lo sono. Per questo è politicamente strumentale riferirsi a questa pratica come “utero in affitto”. Le persone coinvolte compiono scelte importanti, ponderate, firmano accordi – anzi, contratti – relativi non solo al periodo di gravidanza e al parto, ma anche a come verranno gestiti i rapporti tra genitori, portatrici e bambini dopo la surrogacy. Tutto questo non avviene semplicemente affittando un utero: la donna che sceglie di partorire per altri o per altre dovrebbe avere sempre diritto a un consenso informato e consapevole, così che possa esercitare liberamente la potestà sul proprio corpo. Una progettualità autonoma, protetta dalla legge e da una politica che riconosca alle donne la possibilità di autodeterminarsi, invece di schiacciarle sotto il peso del giudizio e dell’incomprensione.

Solo avendo chiaro questo primo punto basilare, ci si potrà occupare delle altre questioni bioetiche centrali: procreare è un desiderio o un diritto? È etica solo una surrogacy altruistica o anche quella a pagamento? È possibile porre argine al pericolo dello sfruttamento? (Spoiler: , e la soluzione non è certo il proibizionismo). O ancora: cosa accadrebbe se il contratto non venisse rispettato? Quale ragione dovrebbe prevalere, quella dei genitori intenzionali o quella della gestante?

È chiaro che i nodi da sciogliere sono tanti, però dovrebbe essere altrettanto lampante che non saremo capaci di farlo se continuiamo a parlare di crimine contro l’umanità, di donne deumanizzate, di madri che devono esserlo per forza, anche se scelgono di partorire per altri. Teniamo a mente anche che, mentre questo governo si vanta di mettere i bambini al primo posto, i figli nati da gpa esistono, vivono con le loro famiglie e come cittadini di quelle famiglie vanno riconosciuti. Questo non è negoziabile.