Cala il potere d’acquisto delle famiglie, aumenta la quota di profitto delle aziende. Nelle scorse settimane anche la Bce è arrivata alla conclusione che lo scorso anno a spingere l’inflazione sono stati soprattutto gli utili aziendali fatti aumentando i prezzi. E i dati Istat sull’ultimo trimestre del 2022 confermano. Tra ottobre e dicembre il reddito è cresciuto lievemente (+0,8%), ma di gran lunga troppo poco per star dietro agli aumenti di tutti i beni. La crescita dei prezzi al consumo “particolarmente forte” – si legge – “ha comportato una significativa diminuzione del potere d’acquisto (-3,7%)“. Le imprese, sull’altro fronte, hanno festeggiato: la quota di profitto delle società non finanziarie nello stesso trimestre è stata pari al 44,8%, +1,9% sul precedente e +3% sul quarto trimestre 2021. Il risultato lordo di gestione si è impennato del 7,8%. Nonostante questo, gli investimenti fissi lordi sono aumentati solo dell’1,7%, con una diminuzione di 0,4 punti percentuali del tasso di investimento, attestatosi al 24,4%. I grafici sotto, che mostrano (riga rossa) a sinistra l’andamento del potere di acquisto e a destra quello della quota di profitto, sono eloquenti. Una dinamica simile si registra in tutta Europa, stando ai dati Eurostat: nel quarto trimestre la quota di profitto è salita al 42%, il livello più alto della serie storica.
Nel resto dell’Ue però il tasso di risparmio appare in ripresa, mentre in Italia si è registrata “una marcata flessione del tasso di risparmio“, sceso di 2 punti al 5,3%, avverte l’Istat. L’impatto si è visto già nei primi mesi del 2023: a febbraio, dopo il calo anno su anno di gennaio, si stima un primo calo anche congiunturale, cioè mese su mese, per le vendite al dettaglio: -0,1% in valore e -0,9% in volume. Con una diminuzione delle vendite di beni alimentari dello 0,3% in valore e dell’1,8% in volume, mentre quelle dei beni non alimentari registrano un lieve aumento in valore (+0,1%) e una flessione in volume (-0,3%). Rispetto a febbraio 2022 si conferma invece un aumento in valore del 7,9% che fa però il paio con un crollo in volume del 4,9%: si spende di più per comprare meno.
Quello sul potere d’acquisto è un “dato grave e preoccupante”, commenta Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori.
“L’inflazione, come denunciamo da anni, ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie. Un nodo che presto verrà al pettine sotto forma di una caduta dei consumi“. “Italiani affamati dal carovita”, secondo Dona. “Su base tendenziale, il divario tra dati alimentari in valore e in volume diventa addirittura abissale, da +7,9 a -4,9%, un gap di 12,8 punti percentuali, praticamente un precipizio”. Secondo lo studio dell’associazione, le vendite alimentari in volume precipitano non solo su febbraio 2022, ma anche rispetto a febbraio 2021 (-6,5%), a febbraio 2020 (-11,7%) o 2019 (-4,4%). “Insomma, gli italiani non hanno mai stretto così tanto la cinghia e sono a dieta forzata”.
Per Dona ciò che accade è che “gli italiani intaccano i loro risparmi nel tentativo vano di mantenere il loro tenore di vita, ma la perdita del potere d’acquisto, il caro bollette e il costo della vita alle stelle avranno ripercussione sulla crescita della nostra economia”. Se anche si riuscirà a sfuggire dalla recessione – conclude l’associazione dei consumatori – si crescerà del solito zero virgola. Per questo urge che il governo riveda il decreto sulle bollette, ripristinando tutti gli aiuti introdotti da Draghi almeno fino a che i prezzi di luce e gas non torneranno ai livelli pre-crisi del 2020. Servono anche provvedimenti di carattere strutturale, come la scala mobile all’inflazione programmata, che consentano di adeguare gli stipendi al costo della vita”.
Quanto agli altri indicatori l’Istat rileva che nel quarto trimestre del 2022 il rapporto deficit/Pil è peggiorato di 0,7 punti percentuali. L’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil è stato pari a -5,6% (era -4,9% nello stesso trimestre del 2021). Migliora invece di 0,5 punti percentuali il saldo primario (cioè l’indebitamento al netto degli interessi passivi), questo è risultato negativo, con un’incidenza sul Pil del -0,7% (-1,2% nel quarto trimestre del 2021). Il saldo corrente è stato positivo, con un’incidenza sul Pil dell’1,3% (3,2% nel quarto trimestre del 2021). La pressione fiscale è stata pari al 50,5%, in riduzione di 1 punto percentuale rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.