Resta in carcere la coppia che per mesi ha ospitato a pranzo e a cena Matteo Messina Denaro. Il Tribunale del Riesame ha rigettato l’istanza di scarcerazione presentata dai difensori di Lorena Lanceri e del marito Emanuele Bonafede, arrestati lo scorso 16 marzo con l’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia e procurata inosservanza di pena per avere protetto – almeno nell’ultimo periodo – la latitanza del boss di Castelvetrano. Le indagini del Ros (Raggruppamento operativo speciale) dei Carabinieri, coordinate dalla Procura di Palermo, hanno svelato la regolarità e la frequenza delle visite di Messina Denaro all’appartamento dei coniugi a Campobello di Mazara: dalle telecamere di sorveglianza montate in un negozio nelle vicinanze è stato possibile osservare come Lanceri e Bonafede controllassero la strada per dare il via libera al capomafia per uscire da casa loro. Dal contenuto di alcuni messaggi inviati ai pazienti che assieme a lui si curavano per tumore alla clinica Maddalena di Palermo, e da quello dei pizzini che Lorena gli scriveva sotto il falso nome di Diletta, sembra che il boss avesse una relazione intima con Lanceri. Di certo era stato padrino di cresima del figlio della coppia (oggi ventenne), regalandogli un Rolex da 6.500 euro.
Emanuele Bonafede, marito di Lorena, è anche il fratello di Andrea Bonafede classe ’69, arrestato lo scorso 7 febbraio assieme al medico di famiglia, Alfonso Tumbarello. Bonafede (classe ’69), cugino dell’altro Andrea Bonafede (classe ’63) dal quale Messina Denaro ha preso l’identità per accedere alle cure sanitarie, aveva il ruolo di ritirare presso l’ambulatorio del medico le ricette e le richieste di esami e ricoveri. Oggi sono state depositate le motivazioni con le quali il Riesame ha deciso, lo scorso 24 febbraio, di rigettare per lui la richiesta di scarcerazione: interrogato dai pm, si legge, Andrea Bonafede ha ammesso di avere fatto da “postino“, ma si è detto convinto che le ricette fossero davvero per il cugino Andrea (classe ’63) che, non volendo dire nulla ai familiari del suo stato di salute, evitava di andare in ambulatorio da Tumbarello. Una tesi che però non ha convinto i giudici: il collegio presieduto da Antonia Pappalardo ha confermato il carcere ritenendo le dichiarazioni “in parte mendaci con riguardo alla conoscenza dell’indagato, e in parte palesemente contraddittorie rispetto alle dichiarazioni dei coindagati e alle ulteriori emergenze investigative”.
Bonafede, infatti, ha dichiarato di non avere mai incontrato Messina Denaro. Il 13 gennaio, però – ovvero tre giorni prima dell’arresto del boss – una telecamera di videosorveglianza lo ha ripreso mentre a bordo di una Fiat 600 accosta a un incrocio di Campobello per parlare con il boss, posteggiato a bordo della sua Giulietta nera. I due sostano per qualche secondo, fermando perfino il traffico: “L’esame del video consente di rilevare l’esistenza di un vero e proprio rapporto di conoscenza tra i due”, scrivono i giudici del Riesame. “È di tutta evidenza, infatti, come questi, lungi dal limitarsi a un saluto fugace, circostanza che pure avrebbe smentito quanto affermato da Bonafede in sede di interrogatorio, approfittano dell’incontro casuale per soffermarsi a scambiare qualche parola, non esitando a rallentare il traffico”. Non solo: Bonafede aveva anche dichiarato di essere andato in ambulatorio a ritirare le prescrizioni soltanto per un anno. Smentito dalle dichiarazioni della segretaria di Tumbarello, ha in seguito cambiato versione, dichiarando “di non essere certo circa l’inizio di detta attività e ammettere una collocazione temporale anche più risalente”. Il boss era, infatti, in cura da almeno due anni. Per questo la giudice parla di “omertosa compiacenza assicurata da Bonafede a Messina Denaro”, dimostrata dal “pieno inserimento in una salda e collaudata rete di complicità con i coindagati Tumbarello e Bonafede classe ‘63 e l’importanza del compito affidatogli”.