Il caso vuole che proprio 10 anni fa, quasi esatti (era settembre invece che aprile come adesso), cominciasse la mia collaborazione con ilFattoQuotidiano.it nel blog messo a mia disposizione per i miei interventi. Nel secondo, da me inviato dal Texas, descrivevo proprio il caso di un politico repubblicano – Tom DeLay – molto importante all’epoca: aveva da poco dovuto lasciare la poltrona di speaker del Congresso americano (incarico pressappoco equivalente a quello dei nostri presidenti delle Camere), ed era stato anche lui incriminato per “utilizzo improprio di denaro riservato a precise attività politiche”. Lui li aveva invece usati in modo differente, obbligando chi lo doveva giudicare a considerare questo utilizzo alla stregua del “money laundering” ovvero il lavaggio di denaro sporco, un reato molto comune tra le mafie di tutto il mondo. Questo è il titolo dato a quell’articolo: “Usa, se il politico è di vertice, la sentenza diventa esemplare” perché descriveva il caso di un politico di alto livello, “beccato” con le mani nel sacco e avviato dal Tribunale della Contea di Travis, Texas, alle patrie galere.

Nel titolo c’era proprio tutta la mia ammirazione (e forse anche un po’ d’invidia) per la severità dei magistrati texani nel giudicare e poi condannare un “pezzo da 90” della politica americana; all’epoca il confronto con la situazione giudiziaria italiana era disperante, con il premier Berlusconi ancora alle prese con la sua geniale invenzione dei “Bunga Bunga”, usata per il suo “relax dopolavoro”, che divideva per premio con alcune sue giovani e promettenti allieve politiche.

Il “povero” DeLay, dopo la sentenza emessa da una giuria popolare e la condanna a tre anni di carcere decisa dalla giudice, è stato ammanettato e portato in carcere, vestito con la tipica “tuta arancione dei carcerati”. È vero che ci è rimasto poco, perché i suoi avvocati hanno in pochi giorni portato la cauzione per farlo uscire subito e presentato l’Appello perché fosse essere giudicato di nuovo. Gli è andata bene perché tre anni dopo la nuova giuria popolare lo ha assolto, ma se fosse stato di nuovo condannato avrebbe subito una carcerazione più lunga.

Per quanto i casi DeLay e Trump siano simili anche nel reato principale (l’utilizzo di denaro “politico” destinato ad una attività politica precisata nel mandato di attribuzione, ma da loro utilizzato in attività del tutto diverse) l’assimilazione di questa “distrazione” d’uso a quella ben più grave del “lavaggio di denaro sporco” rende comunque questo un reato molto grave nel giudizio popolare, i cui effetti però sono spesso imprevedibili quando la decisione spetta sulla colpevolezza o l’innocenza dell’incriminato è una giuria popolare.

Ma negli Usa ogni Stato ha le sue leggi che possono anche differire molto sul piano penale. In Texas per esempio la colpevolezza o l’innocenza in questi reati è decisa appunto dalla giuria popolare, estratta a sorte tra la popolazione. Ed è capitato anche a me, un paio di volte, nella Contea di Mc Kinney (confinante con Dallas, di essere chiamato per entrare nella Giuria di casi non gravi). Ma il caso che riguarda Trump verrà giudicato a New York nel Distretto di Manhattan, e saranno dei giudici professionisti a giudicarlo, non il popolo.

Con la popolarità che ha ancora tra la gente, sarebbe quasi certamente stato meglio per lui essere giudicato in Texas, considerando peraltro che in quello Stato circa il 70% degli elettori vota repubblicano, avrebbe avuto ottime probabilità di essere giudicato da suoi “aficionados” (affezionati).

Se dovesse arrivare una condanna in primo grado, “salterebbe” sicuramente la possibilità per Trump di partecipare alle prossime Presidenziali nel 2024 perché anche chiedendo un secondo giudizio non potrebbe fare la sua campagna elettorale e probabilmente non verrebbe nemmeno candidato dallo stesso partito repubblicano. In caso di assoluzione nel secondo grado potrebbe invece partecipare alle successive elezioni ma dovrebbe aspettare il 2028, e forse sarebbe già un “tantino maturo”, come lo è ora Biden.

Nel caso, infine, di condanna anche in secondo grado, Trump avrebbe ancora l’asso nella manica della Corte Suprema (se non muore o si dimette qualcuno dei sei attuali giudici repubblicani, di cui tre nominati dal lui stesso) perché un suo appello per un giudizio “superiore” o una “grazia eccezionale” troverebbe lì una maggioranza schiacciante a suo favore (6 contro 3) e potrebbe dunque ottenere un “verdetto di grazia suprema” molto utile per lui ad evitare la prigione.

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