Prima l’incriminazione. Poi l’esplosione. Dopo aver ascoltato i 34 capi di accusa a suo carico nel tribunale di Manhattan, Donald Trump è tornato in Florida e si è scagliato contro giudici, procuratori, nemici politici. “Questo caso farsa è stato aperto solo per interferire con le prossime elezioni del 2024. Deve essere immediatamente chiuso”, ha detto Trump in una conferenza stampa convocata a Mar-a-Lago, proprio in previsione dell’incriminazione. Il discorso di Trump ha chiaramente rivelato la volontà di usare le inchieste giudiziarie come elemento centrale della campagna elettorale per il 2024, facendo di se stesso la vittima della più clamorosa caccia alle streghe della storia americana, costringendo il partito repubblicano – tutto il partito repubblicano – a prendere posizione in sua difesa. Il processo per i pagamenti a Stormy Daniels, e negli altri casi a sfondo sessuale individuati dalla procura di Manhattan, dovrebbe iniziare nella primavera 2024, quindi in piena campagna presidenziale. La storia giudiziaria di Trump si intreccerà dunque in modo indissolubile alla scelta del prossimo presidente degli Stati Uniti.

“È frustrato. Arrabbiato. Furibondo. Ma è anche motivato come mai nel passato. Non c’è niente che possa fermarlo”. Così Todd Blanche, parte del team legale di Trump, descrive l’umore dell’ex presidente dopo l’incriminazione nel tribunale di Manhattan. In effetti, Trump è tornato in Florida e ha tenuto un discorso breve e concitato, che è parso come un secondo lancio della sua campagna elettorale. Il primo lancio, a novembre, era stato sottotono. Trump veniva, allora, dalla sconfitta di molti dei suoi candidati alle elezioni di midterm. Questa volta, nella sala di ballo di Mar-a-Lago addobbata con i colori della bandiera americana, i toni sono stati tutt’altro che sfumati. “Non avrei mai pensato che qualcosa del genere potesse accadere in America”, ha detto Trump. “L’unico crimine che ho commesso è difendere senza paura la nostra nazione da coloro che cercano di distruggerla”. Trump ha anzitutto attaccato i democratici, che avrebbero cercato di distruggerlo inventando false accuse di connivenza con Paesi esteri. “Fin dall’inizio, i democratici hanno spiato la mia campagna. Ricordate che mi hanno assalito con una serie di indagini fraudolente? Russia. Russia. Russia. Ucraina. Ucraina. Ucraina. Bufala dell’impeachment numero uno. Bufala dell’impeachment numero due. Bufala del raid illegale e incostituzionale su Mar-a-Lago. L’FBI e il Dipartimento alla giustizia che perseguono in modo incessante i repubblicani”.

Davanti a lui, c’era un pubblico di familiari, amici politici, invitati, che rendeva l’occasione simile appunto a un evento elettorale, più che a una conferenza stampa per replicare alle accuse del procuratore di Manhattan. Ad applaudirlo, sotto i fari delle TV, c’erano il figlio Donald Trump Jr. e l’attuale fidanzata e consigliera di Trump, Kimberly Guilfoyle. C’erano la figlia Tiffany e il marito, Michael Boulos. C’era l’altro figlio, Eric, con la moglie Lara. C’erano i politici repubblicani più vicini all’ex presidente e al suo “Make America Great Again”: Matt Gaetz, Marjorie Taylor Greene, Newt Gingrich. Nonostante il giudice del tribunale di New York, Juan Merchan, gli avesse intimato di non usare il processo per pronunciare “discorsi incendiari” e alimentare un clima di tensione e disordine (Merchan non ha però voluto imporre un “gag order”, l’obbligo di non parlare del processo), Trump ha attaccato immediatamente procuratori e giudici che a suo giudizio lo perseguitano a fini unicamente politici. Il procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg è stato ancora una volta definito “un magistrato sostenuto da Soros”, “un procuratore locale fallito che accusa per la prima volta nella storia un ex presidente degli Stati Uniti su basi che ogni singolo esperto e analista legale ritengono senza fondamento”.

Trump ha invitato Bragg a “dimettersi” dopo aver fatto trapelare i dettagli dell’accusa ai media prima dell’apertura dell’udienza di martedì. A finire travolta dalla rabbia di Trump è stata anche la moglie di Bragg, che sarebbe una “sua odiatrice”, e la figlia del magistrato, che nel passato ha lavorato per Kamala Harris. Non si è salvato lo stesso giudice che ha presieduto all’udienza di incriminazione, per l’appunto Juan Merchan, anche lui definito un “odiatore professionale di Trump”. A finire sotto gli strali e gli insulti dell’ex presidente sono stati anche temi e protagonisti delle altre inchieste aperte in questo momento su di lui. Jack Smith, lo Special Counsel che guida l’inchiesta sui documenti top secret che Trump ha trafugato dalla Casa Bianca, portandoli nella sua residenza privata di Mar-a-Lago, è stato definito “un procuratore speciale pazzo”. “Come presidente, ho il diritto di declassificare i documenti. Se li porto con me, è una declassificazione automatica”, ha detto Trump, negando dunque di aver fatto qualcosa di illegale e accusando ancora una volta l’FBI, che ha guidato il raid a Mar-a-Lago per recuperare i documenti, di condotta persecutoria.

Letitia James, l’attorney general democratica e afro-americana dello Stato di New York che ha guidato l’inchiesta sui beni della Trump Organization che sarebbero stati sovrastimati per ottenere prestiti bancari, è stata definita da Trump una “razzista al contrario che ha fatto campagna elettorale per incastrare Trump”. Non è mancato il riferimento all’indagine della Georgia, dove Trump è sotto inchiesta per la telefonata al segretario di stato Brad Raffensperger in cui chiedeva di trovargli undicimila voti necessari a battere Joe Biden e vincere le elezioni. Trump ha definito quella telefonata “assolutamente perfetta, ancora più perfetta di quella che ho fatto con il presidente dell’Ucraina” (un riferimento alla conversazione con Volodymyr Zelensky, in cui suggeriva all’Ucraina di indagare sugli affari della famiglia Biden a Kiev, che fu materia per il suo primo impeachment).

Insomma, una disamina completa dei suoi guai giudiziari, condita di insulti e ricostruzioni spesso fantasiose, che mostra come l’ex presidente abbia in mente di usare proprio il suo status di indagato/incriminato per dare ulteriore slancio alla campagna per le presidenziali e per diventare il candidato repubblicano nel 2024. Del resto, a Manhattan hanno rinunciato a fargli la foto segnaletica, come d’uso al momento dell’incriminazione, nel timore che Trump potesse usare proprio quella foto per i suoi manifesti elettorali. La strategia di Trump è ovviamente rivolta anzitutto al partito repubblicano. Ponendosi come vittima di una persecuzione politica senza precedenti, lamentando di essere l’unico vero difensore dell’integrità e della grandezza americana, Trump mira a fare piazza pulita dei possibili sfidanti in campo repubblicano, la cui candidatura, proprio in opposizione a Trump, verrebbe immediatamente considerata come una presa di posizione a favore di chi vuole distruggere l’America. Un primo risultato c’è già. Mitt Romney, il senatore repubblicano e moderato dello Utah, di solito molto critico nei confronti di Trump, ha reso pubblica una dichiarazione in cui dice che “il procuratore di Manhattan ha allargato a dismisura le accuse contro Trump per puri fini politici”. “Nessuno è al di sopra della legge, ma ciascuno ha diritto a un trattamento equo secondo la legge”, spiega Romney, che dunque prende posizione accanto al suo vecchio nemico politico. Se lo fa Romney, difficile che non lo faccia il resto del mondo repubblicano, risucchiato dalla polarizzazione feroce che, ancora una volta, Trump riesce a imporre al quadro politico.

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