Del merito e della meritocrazia, lui, si è sempre ritenuto la rappresentazione vivente. “Io, figlio di venditore ambulante, diventato professore, parlamentare, ministro”, ha ripetuto chissà quante volte Renato Brunetta. Perché? “Perché ho studiato, lavorato e mi sono impegnato più degli altri”. Al punto, sempre secondo Brunetta, e all’insaputa dell’Accademia reale svedese, di aver sfiorato il premio Nobel. “Volevo vincere il Nobel per l’Economia. Ero… non dico lì lì per farlo, però ero sulla strada giusta. Ha prevalso il mio amore per la politica, e non lo vincerò più”, disse nel 2011. Fustigatore dei “fannulloni” della Pubblica amministrazione, allergico allo smart working, a dispetto dei dati che smentivano un calo della produttività dei dipendenti pubblici, ne è stato due volte il ministro. Prima con Berlusconi a palazzo Chigi e poi con il governo Draghi. Caduto l’esecutivo dell’ex banchiere centrale, Brunetta, 72 anni, ha deciso di non ricandidarsi. Finalmente a godersi la meritata pensione, da ex professore, da ex parlamentare, da ex ministro. Insomma una condizione più che agiata.
E invece no. Meloni al governo e Brunetta torna in pista, in pole position per presiedere il Cnel (Consiglio nazionale economia e lavoro), gattopardesco baraccone di stato sopravvissuto a diversi tentativi di soppressione. Non esattamente il tempio della meritocrazia e dell’efficienza, eppure organo di rilievo costituzionale da cui suggerire strategie al governo. Si tratterebbe per di più di un ritorno alle origini. A inizio carriera Brunetta ne fu consigliere in quota socialista. Nel 2009 prima esperienza da ministro. Al grido “premiare i meritevoli e punire i fannulloni”, tenta una riforma della Pubblica amministrazione. Non cambierà nulla. Il secondo giro al ministero è con il governo Draghi che sale sulla giostra del Pnrr. Ma se c’è qualcuno che porta più responsabilità di altri per i ritardi che si accumulano giorno dopo giorno sui progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (con il conseguente rischio di perdere decine di miliardi di euro di finanziamenti) è proprio l’ex ministro. Uno dei problemi principali del Piano è infatti che le pubbliche amministrazione sono sguarnite di personale in grado di gestire le pratiche, avviare e monitorare i lavori. A questo si sarebbe dovuto ovviare con appositi concorsi che però, uno dopo l’altro, si sono rivelati dei clamorosi flop. Di fronte a retribuzioni e condizioni di lavoro tutt’altro che allettanti i candidati hanno giustamente disertato la chiamata. Non sempre, a quanto pare, il merito viene giustamente valorizzato.
Nonostante precedenti non proprio esaltanti il governo Meloni decide ora di richiamare Brunetta in servizio. In teoria l’incarico al Cnel dovrebbe essere a titolo gratuito, così ha disposto una legge del 2014. Prima, il presidente portava a casa una busta paga di tutto rispetto. Il collega di partito dell’allora forzista Brunetta, Antonio Marzano, ultimo presidente regolarmente stipendiato, incassava quasi 190mila euro l’anno. L’attuale presidente Tiziano Teru invece non percepisce compensi. E così dovrebbe essere anche per il pensionato Brunetta ma anche qui sarebbe pronto l’escamotage. Un emendamento del governo al decreto Pnrr, in discussione al Senato, consente fino al 2026 ai pensionati di ricoprire cariche di vertice nella Pubblica amministrazione e di essere retribuiti per farlo, in deroga alla legge Madia. La norma è stata pensata per il presidente dell’Istat Blangiardo ha accettato il reincarico solo se retribuito ma una volta introdotto il principio estenderlo al prossimo presidente del Cnel sarebbe facile. Vedremo. “Sei un dipendente? E allora che cazzo parli? Perché non ti metti in proprio?”. Così lo scorso 10 giugno l’allora ministro della pubblica amministrazione si era rivolto a rivolgeva a un lavoratore che aveva osato abbozzare una contestazione durante un comizio. Già, professor Brunetta, perché non mettersi in proprio dopo tanti anni da dipendente pubblico e stipendio statale?