I ministri degli Esteri di Arabia Saudita e Iran si sono incontrati oggi in Cina. Lo scorso 11 marzo, sotto la regia di Pechino, i due storici rivali mediorientali, riferimento rispettivamente delle comunità sunnita e sciita, hanno concordato l’avvio di un percorso di normalizzazione delle loro relazioni. Il cammino è lungo e incerto ma il successo diplomatico cinese è notevole. Quello di oggi è il primo incontro formale tra diplomatici di Riyad e Teheran da oltre sette anni. In un breve filmato trasmesso dalla Tv di stato iraniana si vedono il principe saudita Faisal bin Farhan Al Saud e il suo omologo iraniano, Hossein Amirabdollahian che si salutano e si siedono fianco a fianco. Le delegazioni tecniche dei due paesi intanto esaminando questioni come l’ espansione della cooperazione, la ripresa dei voli e le visite bilaterali delle delegazioni ufficiali, la semplificazione nella concessione dei visti per i cittadini dei due paesi. La distensione tra Arabia Saudita e Iran potrebbe diventare un importante fattore di stabilizzazione dell’area, dove i due stati sostengono forze contrapposte protagonisti di conflitti per procura come quello che flagella lo Yemen da quasi dieci anni. Il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha affermato che la Cina sostiene i paesi del Medio Oriente nel sostenere la loro indipendenza strategica, liberandosi delle “interferenze” esterne e mantenendo il futuro della regione nelle proprie mani, ha detto giovedì. Chi a Washington ha orecchie per intendere intenda.
Lo scorso fine settimana l’Opec+, di cui l’Arbia Saudita è il principale attore, ha deciso di ridurre la produzione di petrolio di un milione di barili al giorno per sostenere il prezzo del barile. Una decisione letta anche e soprattutto come un messaggio politico agli Stati Uniti che da tempo sollecitano i grandi paesi produzioni ad aumentare l’offerta di greggio per compensare la riduzione dei flussi russi. Metà del taglio (500mila barili) sarà operato da Riyad. L’Arabia sta inoltre valutando la possibilità di farsi pagare in yuan, e non in dollari, per il petrolio venduto alla Cina, altro boccone indigesto per Washington. In questo quadro disarmonico il direttore della Cia William J. Burns è stato inviato in Arabia, terminale di quel canale di dialogo non ufficiale e coperto a cui ricorrono in circostanze particolari i due paesi. Il viaggio di Burns è stato presentato come un modo per “discutere di interessi condivisi” e “rafforzato il nostro impegno per la cooperazione di intelligence, specialmente in aree come l’antiterrorismo”, riporta il Washington Post.