di Roberta Ravello
La Corea del Sud è uno dei paesi del mondo a più basso tasso di nuove nascite. Per le femministe è colpa del patriarcato, per gli uomini tradizionalisti, invece, è colpa del femminismo.
Il 65% delle donne in età fertile dichiara non volere figli e già nel 2025 i coreani saranno il secondo popolo più anziano del mondo dopo il Qatar, con un’età media di 46,5 anni e con il 20% di over 60.
Di chi è la colpa? Delle donne, dicono uomini coreani, a partire dal presidente. Degli uomini tradizionalisti rispondono le femministe.
Questa lotta aperta ha il suo folclore. Molte donne escono ben vestite di casa ma con i bigodini in testa, simbolo di “ribellione estetica” contro le mannequin, incarnazione di una bellezza plastica difficile da raggiungere per la donna comune e anche stressante come aspettativa. Perché alle donne, oltre che il lavoro di casa e fuori, deve essere richiesta anche la perfezione estetica, ad esempio? Non ci sono simili aspettative per gli uomini coreani.
Il femminismo radicale ha preso piede in Sud Corea come ribellione a un regime particolarmente restrittivo nei loro confronti. Si identifica nelle 4 B: sostanzialmente 4 no, niente appuntamenti, niente sesso, niente matrimonio e niente procreazione, parole che in coreano incominciano con la lettera B. Queste donne sono in “sciopero” contro il fatto di essere considerate inferiori rispetto ai loro compagni, oltre a essere costrette a lavorare a stipendi molto più bassi dei loro colleghi. In Corea c’è il più grande divario di genere nei salari (31% contro la media Ocse di circa il 12%). Il carico di lavoro è enorme: 1.915 ore all’anno, dicono le rilevazioni dell’Ocse, contro le 1.791 degli Stati Uniti, le 1.669 degli italiani e le 1.349 ore dei tedeschi.
C’è chi collega il superlavoro al basso tasso di fertilità e all’elevato numero di suicidi (tra i più alti al mondo). Per le donne non c’è solo il lavoro fuori di casa, ma anche quello tra le pareti domestiche e in aggiunta c’è un tasso di violenza domestica elevato. Non sorprende che poche donne vogliano sposarsi.
Il presidente Yoon Suk-yeol, ex magistrato, ha suggerito che la colpa è del femminismo per aver bloccato le “relazioni sane” tra uomini e donne. Non dello stesso avviso sono le femministe, per le quali l’uguaglianza di genere è la soluzione ai problemi di coppia e di natalità del paese.
In Sud Corea una donna sposata diventa parte della famiglia del marito e deve sottomettersi ai voleri della famiglia del coniuge. Il numero dei divorzi in Corea del Sud è aumentato in modo considerevole con l’emancipazione delle donne e a richiederlo sono soprattutto queste. Tutto ciò è avvenuto non senza lotte e senza aggressioni da parte degli ex partner, perché la cultura è lenta a cambiare. Secondo quanto riportato da WION, durante il 2019 la polizia sudcoreana ha riscontrato circa 10.000 casi di violenza domestica, dove il 98% delle vittime è una donna. In Corea del Sud, i rapporti annuali stimano un femminicidio ogni 1,8 giorni e 3,4 denunce di crimini sessuali ogni ora.
Le donne coreane hanno ottenuto successi come la decriminalizzazione dell’aborto, ma i contraccolpi ci sono stati: il presidente in carica ha abolito il Ministero per l’uguaglianza di genere, e le femministe sono accusate di misandria: odiare gli uomini.
Probabilmente non è così. Si tratta solo di un problema sociale, economico e culturale, dove il ritardo nel riconoscere i pari diritti delle donne ha portato il femminismo a presentarsi nelle sue forme più radicali.
Orari di lavoro ridotti per tutti, paghe uguali per la stessa mansione, meno pressione delle famiglie sulle coppie e meno violenza domestica sicuramente aiuterebbero a raggiungere nuove armonie.