Manifestano per i genitori sfruttati e un futuro sempre più incerto. Chiedono un cambio radicale di sistema e si muovono con l’ansia di chi sente di non avere più tempo. Mentre la Francia affronta l’undicesima settimana di fila di proteste contro la riforma delle pensioni voluta da Emmanuel Macron, l’attenzione è soprattutto per le giovani generazioni che sono entrate in massa nella protesta. E che, oltre a dare un nuovo slancio alle piazze, ora possono fare la differenza. A parlarne a ilfattoquotidiano.it è Salomé Saqué, autrice 27enne del libro “Sois jeune et tais-toi” (edizioni Payote), un titolo provocatorio e omaggio a uno dei manifesti del maggio 1968 “Sii giovane e taci”. Saqué è giornalista per il giornale online d’inchiesta Blast ed è diventata molto conosciuta sui social network grazie ai suoi approfondimenti su economia, ambiente e diritti. Lavora anche per Franceinfo e France5.
Partiamo da una delle domande più complesse: quanto possono durare ancora gli scioperi?
Penso che la protesta non si calmerà a breve. Resterà così intensa? È complicato da dire, ma ci sono una rabbia e un malcontento profondi che non si possono risolvere in poche settimane.
C’è stato un arrivo ritardato dei giovani nella mobilitazione?
Fin dall’inizio sono stati presenti nei cortei, ma non erano maggioritari. È stata la decisione di Macron di non far votare l’Assemblea nazionale sulla riforma delle pensioni, interpretata come una negazione della democrazia, a scatenare la loro mobilizzazione così massiccia. E secondo le ultime stime rappresentano circa un terzo dei cortei.
Quali sono i temi per cui si battono?
Manifestano contro la riforma delle pensioni, ma hanno introdotto anche altri temi: il precariato, le difficoltà lavorative, il clima. Abbiamo visto emergere slogan come “Pas de retraite pas de planète” (“Nessuna pensione, nessun pianeta” ndr) che sono legati alla lotta contro il riscaldamento climatico e che attaccano l’inazione climatica della Francia. E manifestano anche per i loro familiari: anche se non sono loro ad andare in pensione a breve, sono testimoni delle difficili condizioni dei genitori.
Che effetto crede che potranno avere sulla mobilitazione?
Sono in prima linea e danno un secondo slancio alla contestazione. Io penso che possano fare la differenza per il successo della mobilitazione. Hanno dei modi di coinvolgimento diversi dai più anziani: probabilmente rispetteranno meno lo schema tradizionale dei sindacati, parteciperanno di più a manifestazioni non autorizzate e una parte di loro sta prendendo una certa radicalità. Questo può farli esprimere ancora di più contro la repressione della polizia. Che è estremamente inquietante.
Alla base della loro protesta c’è un nuovo modo di rapportarsi al lavoro?
Sì, ne hanno una considerazione diversa rispetto ai più anziani. Affrontano un mercato più precario, hanno condizioni di accesso diverse e arrivano in un contesto di affanno del sistema neoliberale dove il mercato del lavoro è flessibile e la crisi ecologica sconvolge il rapporto con la società della consumazione. E per forza del lavoro. Questo porta una parte dei giovani a farsi delle domande su cosa vogliono fare nella vita. Ci sono sempre più giovani che contestano il sistema capitalista e l’idea di lavorare tutta la vita. Nei cortei c’erano degli slogan che dicevano: “Non vogliamo perdere la nostra vita a guadagnarla”. E credo che questo sia abbastanza rappresentativo dello stato d’animo. I giovani, un po’ dappertutto in Europa, ripensano il loro rapporto con il lavoro. E privilegiano il tempo personale e l’equilibrio con la vita privata. Non vuol dire che non vogliano più lavorare, vuol dire che vogliono lavorare diversamente, meglio e soprattutto per delle cose che considerano utili. Nei cortei c’è una contestazione del mercato del lavoro così come è adesso.
Secondo lei i giovani come attori politici sono screditati?
Non sono presi sul serio su numerose tematiche. E non è una novità. Da sempre c’è un discredito della parola dei giovani perché hanno per definizione meno d’esperienza. Oggi si esprime soprattutto nei media, nei libri e nella parola politica. E sono dei capri espiatori in caso di crisi. Questi cliché sono deleteri, dobbiamo assolutamente superarli perché stiamo affrontando una crisi inedita che è quella ecologica e c’è una situazione molto particolare: il nostro futuro di giovani dipende dalle decisioni che sono prese oggi dai più anziani. È una tempistica inedita perché non possiamo aspettare che ci sia un rinnovamento di generazione per avere una nuova società. Abbiamo bisogno di cambiamento immediato per preservare il futuro delle generazioni future. E questo, per una parte dei più anziani, è estremamente difficile da capire.
Se da una parte dimostrano un nuovo attivismo, dall’altra continuano a disertare le urne. Perché secondo lei?
La mobilitazione di oggi in Francia dimostra che i giovani non sono per niente disinteressati e al contrario sono impegnati a modo loro nella società. Semplicemente non usano i sistemi tradizionali per partecipare come il voto, i sindacati, i partiti. Oggi ci sono nuovi metodi: l’associazionismo, l’impegno su internet, il boicottaggio o la partecipazione attraverso il proprio lavoro. Ad esempio con la scelta di lavori diversi. C’è una parte di questa generazione che si impegna con delle altre forme d’azione che sono a volte incomprensibili per i più anziani. Il tasso di voto dei giovani storicamente basso penso sia legato a varie cose: intanto all’affanno democratico generale e poi perché non sono elettoralmente interessanti per i politici visto che sono in minoranza: in Francia gli over 60 sono il doppio, rispetto a chi ha tra i 18 e i 29 anni. Quindi gli uomini e le donne politiche si rivolgono ai più anziani. E quando sono al potere, come Macron, non mettono in campo politiche rivolte ai giovani. Poi ci sono delle ragioni materiali: in Francia non si può votare online e le procedure per poterlo fare distanza non sono semplici. E c’è un deficit di informazione su molte delle elezioni intermedie. Molti non sanno neanche quando si svolgono.
L’agenda delle nuove generazioni è opposta a quella dei più anziani?
C’è un vero e proprio conflitto generazionale ed è abbastanza chiaro nelle cifre. I giovani in Francia, alle scorse elezioni presidenziali e legislative, hanno votato soprattutto per la sinistra radicale, un partito che mette al centro le questioni di giustizia sociale, di lotta alle discriminazioni e di ecologia. Al contrario chi ha più di 65 anni ha votato per partiti più conservatori, quindi della destra repubblicana o il partito di Emmanuel Macron che oggi porta avanti politiche molto liberali. Questi sono chiaramente in favore della conservazione del patrimonio dei più anziani e non sono per niente per la lotta al riscaldamento climatico.
Secondo lei l’attivismo dei più giovani si è spostato online?
Penso che le manifestazioni abbiano ancora un ruolo molto importante. Un giovane su due in Francia ha già manifestato, una cifra molto importante e superiore anche quella degli anni ’70. Si tratta di una mobilitazione che può essere riservata a giovani sempre più radicali visto che la strada è diventata sempre più pericolosa. Le diverse manifestazioni recenti sono state represse in modo molto duro dalla polizia, lo ha denuncia anche Amnesty International. Anche per questo, ci sono molti dei giovani che hanno deciso di mobilitarsi in modo diverso. Io penso che internet giochi un ruolo centrale nella diffusione dei messaggi e nella liberazione della parola. E lo abbiamo visto anche in questi scioperi. Il comportamento di Macron è stato criticato anche da influencer non politici con milioni di abbonati. E che hanno giocato un ruolo per la mobilitazione dei giovani.
Le violenze della polizia che effetto hanno sulla mobilitazione dei giovani?
Accrescono la rabbia. E quello che fa ancora più arrabbiare è la negazione da parte del governo. Il ministro dell’Interno ha dichiarato che non ci sono. Ma tutti possono vedere i video e ognuno può constatarlo sul campo. Il fatto che il governo non solo non contrasti le violenze della polizia, ma addirittura neghi che ci siano, determina una forte delusione. Ma può anche avere l’effetto di dissuasione: ci sono giovani che non vogliono più andare perché la polizia è troppo violenta e i loro genitori non vogliono. Quindi è un’arma a doppio taglio.
Il governo non dà alcun segno di cedimento, cosa spinge i giovani a tornare in piazza?
La motivazione non è difficile da trovare perché c’è un malcontento che viene da lontano. Si trova nella rabbia e nella disillusione di una parte dei francesi che affrontano una inflazione sempre più forte, una deteriorazione delle loro condizioni di vita e che vedono in circolazione dei politici che mentono. Quello che ha alimentato la rabbia sono state le bugie e poi il disprezzo del presidente della Repubblica stesso. E l’impressione è che le diseguaglianze non smettano di aumentare.
E a livello pratico?
C’è stato un grosso aumento delle casse dello sciopero: sono donazioni da parte di chi non va a manifestare o ha i mezzi, e che permettono di ridistribuire una parte dei soldi. Questo fa durare lo sciopero. E poi anche il sostegno abbastanza massiccio dell’opinione pubblica. Abbiamo visto degli scioperi rompersi perché il movimento si spaccava e perché era stigmatizzato. Questa volta non funziona. L’opinione pubblica sostiene chi manifesta, il governo è sempre più minoranza e chiaramente isolato.
*La foto in evidenza dell’autrice è di Hugo Le Beller