Salute

Infertilità, l’Oms lancia l’allarme: così reagiscono donne, uomini e coppie di fronte alla patologia

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) considera l’infertilità una patologia e la definisce come l’assenza di concepimento dopo 12-24 mesi di regolari rapporti sessuali mirati non protetti.

L’infertilità in Italia riguarda circa il 15% delle coppie mentre, nel mondo, circa il 10-12%. Questa patologia può riguardare l’uomo, la donna o entrambi (infertilità di coppia). Può anche però accadere che vi sia un’impossibilità per quella particolare unione tra individui di concepire la vita. Nel nostro paese l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), in collaborazione con il Ministero della Salute, promuove studi e ricerche sulle cause ambientali, psicologiche, cliniche, dell’infertilità e organizza campagne di informazione per la sua prevenzione.

In tutti i casi di malattie e cure che possono compromettere la capacità riproduttiva di un individuo è necessario informare i pazienti del possibile danno sulla loro futura fertilità e sulle possibilità per preservarla. Per le donne adulte si può effettuare la crioconservazione di ovociti, embrioni o tessuto ovarico; per le bambine e ragazze prepuberi solo la crioconservazione di tessuto ovarico. Per l’uomo adulto la crioconservazione del liquido seminale, mentre per i ragazzi prepuberi solo del tessuto testicolare.

La procreazione medicalmente assistita (PMA) comprende sia tecniche più semplici, come l’inseminazione intrauterina con l’introduzione del liquido seminale all’interno della cavità uterina, sia tecniche più complesse, dove l’incontro dei gameti si verifica all’esterno del corpo della donna e, solo dopo l’inseminazione dell’ovocita e l’eventuale fecondazione, l’embrione sviluppato viene trasferito in utero (Iss, 5 gennaio 2022).

Uno specifico rapporto dell’Oms fa il punto sulla letteratura internazionale dedicata agli aspetti psicologici della salute riproduttiva delle donne (Mental health aspects of women’s reproductive health. A global review of the literature, Oms, 2009). Diversi autori hanno ipotizzato delle cause di origine psicologica dell’infertilità, come ad esempio difficoltà nell’identificazione sessuale, ambivalenza verso la genitorialità, ansia e depressione. Tali ipotesi sono state proposte per spiegare i casi di infertilità per i quali non viene identificata una causa riconoscibile di tipo biologico (infertilità idiopatica). Ci sono anche comportamenti che rappresentano un rischio comprovato d’infertilità, come i disordini alimentari, il fumo, l’abuso di alcol e l’uso di droghe, compreso il doping.

A prescindere dalla causa dell’infertilità (fattori biologici e/o psicologici) essa rappresenta un fenomeno che causa grande dolore ed emozioni come rabbia e frustrazione, accompagnati da un profondo senso di colpa e d’inadeguatezza. L’aiuto per accettare serenamente sia un’eventuale vita senza figli, o l’adozione e la PMA come alternative possibili e soddisfacenti, va prospettato con chiarezza all’inizio di qualsiasi trattamento.

L’infertilità, infine, viene spesso descritta come l’esperienza di perdita di un’intera dimensione di vita, condizione questa che comprensibilmente causa depressione. Reagire alla sofferenza psichica è importante: acquisire informazioni sull’infertilità e assumere un ruolo attivo nel prendere decisioni riguardo ai trattamenti da eseguire o meno aiuta a combattere la depressione. Al contrario, negare il problema espone al rischio di un’aspettativa irrealistica nei confronti dei possibili trattamenti, rende vulnerabili alle disillusioni e potrebbe comportare una vera e propria ossessione circa il raggiungimento di una gravidanza.

Donne e uomini reagiscono con differenti modalità. Le statistiche c’informano del fatto che la grande maggioranza delle donne che affrontano un trattamento per l’infertilità mostra, sia pure in misura diversa, sintomi di ansia, irritabilità, profonda tristezza, autocolpevolizzazione, di motivazione e desiderio sessuale, con tendenza all’isolamento e ipersensibilità. Molto comune è il sentimento di colpa per scelte o comportamenti passati che vengono ritenuti causa d’infertilità. Una reazione opposta, ma anch’essa diffusa, è la rabbia contro il partner, contro amici che hanno bambini e contro chi si permette di dare consigli fuori luogo e non richiesti. Inoltre, specialmente in Italia, le pratiche per un’eventuale adozione o le tecniche di PMA sono lunghe ed economicamente dispendiose, fattore che discrimina e demoralizza chi desidera intraprendere queste alternative validissime per coronare il sogno di diventare genitore.

Le donne complessivamente soffrono più degli uomini a causa dell’infertilità, indipendentemente da chi nella coppia è infertile; mentre gli uomini soffrono soprattutto della propria infertilità, che viene vissuta spesso come segno di impotenza e di inadeguatezza sessuale. Inoltre, probabilmente poiché la maggior parte degli accertamenti e dei trattamenti viene eseguita sul corpo femminile, le donne spesso provano senso di colpa o di inadeguatezza anche se il fattore di infertilità è maschile.

Poniamo inoltre il focus sul fatto che, culturalmente, la nostra è sempre stata una società di stampo patriarcale, e che per anni il ruolo della donna è stato vincolato prettamente all’essere madre; ne consegue che il primo obiettivo dopo un matrimonio o nel rapporto di coppia era rappresentato dalla nascita di un figlio (con grande pressione sociale).

L’infertilità può influenzare negativamente non solo i singoli, ma anche la vita di coppia, infatti il senso di colpa e di biasimo possono avere effetti insidiosi sulla vita sessuale. Il partner infertile (uomo o donna) può temere di non essere accettato e può sentirsi obbligato a offrire la possibilità di separazione in modo da consentire la genitorialità con un altro/a partner. Inoltre la spontaneità sessuale può venir inibita dalla necessità di avere rapporti sessuali programmati e finalizzati alla riuscita del trattamento, perdendo l’aspetto ludico o del piacere.

Tuttavia se l’infertilità viene affrontata con solidarietà tra i partner, se viene riscontrato un atteggiamento empatico da parte del medico (sempre più raccomandato a livello internazionale, tanto da essere considerato – anche da parte delle coppie – parte integrante di un buon trattamento), se si effettua una terapia individuale e di coppia da psicosessuologi esperti nel settore ed è presente il sostegno da parte dei pari, questa esperienza può rafforzare e talvolta migliorare il rapporto di coppia.

Si ringrazia per la collaborazione la dr.ssa Silvia D’Antona