Sei ergastoli, di cui uno in contumacia, e due milioni di dollari di risarcimento allo Stato italiano: è questa la condanna emessa stamattina dal tribunale militare di Ndolo, Kinshasa, nei confronti degli imputati per l’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista del World Food Programme Mustapha Milambo Baguma. Una condanna che viene dunque incontro alla richiesta arrivata dall’Italia e in particolare dalla famiglia Attanasio, dopo che gli avvocati dell’accusa nell’ultima udienza avevano richiesto la pena di morte per tutti gli imputati.
Una condanna capitale che in realtà la Repubblica Democratica del Congo non applica più da una ventina d’anni, commutandola automaticamente in ergastolo, ma che rischiava di essere in ogni caso nominalmente comminata, nero su bianco. Per questo, in segno formale di dissociazione, la famiglia Attanasio aveva rinunciato alla costituzione di parte civile. I giudici congolesi hanno dunque accolto favorevolmente questa richiesta, rispettando la memoria dell’ambasciatore, la sensibilità della sua famiglia e la richiesta dello Stato italiano, tutti incontrovertibilmente contrari alla pena di morte.
Altro discorso andrebbe fatto sul processo in sè e sulla reale colpevolezza dei sei imputati, di cui uno tuttora latitante: durante le fasi dibattimentali, infatti, i cinque alla sbarra hanno dichiarato che le loro iniziali confessioni erano state estorte con la tortura. Uno di loro ha addirittura sostenuto che al momento dell’agguato era detenuto nel carcere di Goma, da cui era stato liberato nelle prime ore del pomeriggio di quel 22 febbraio 2021. La documentazione richiesta al carcere per provare o smentire nei fatti tale dichiarazione non è mai giunta al Tribunale militare di Ndolo. Questi sono solo alcuni degli elementi anomali che richiederebbero ulteriori approfondimenti.
Il 25 maggio è invece attesa in Italia l’udienza preliminare che dovrà decidere sulla processabilità dei due imputati nell’inchiesta italiana, Rocco Leone e Mansour Rwagaza, entrambi funzionari del WFP, accusati di omicidio colposo e omesse cautele: il Programma Alimentare Mondiale oppone l’immunità diplomatica, sulla cui legittimità dovrà pronunciarsi il gup. Solo se non verrà ritenuta valida la copertura dell’immunità, i due funzionari andranno a processo a Roma.