Ancora nessun accordo per abbassare le commissioni Pos. Con la Legge di bilancio dello scorso dicembre il governo Meloni si era dato altri 90 giorni di tempo, fino al 30 marzo, per avviare un tavolo permanente e arrivare a una soluzione, in modo da sciogliere il nodo del costo dei pagamenti elettronici per gli esercenti. L’intesa tra banche, istituti finanziari e associazioni di categoria ancora manca e mentre il ministero dell’Economia fa sapere a ilfattoquotidiano.it che si continua a lavorare anche oltre la scadenza per arrivare a una soluzione che soddisfi tutte le parti, a pagare – posto che le commissioni in molti casi non sono pesanti come lamentato – sono ancora gli esercenti. E c’è dell’altro: in caso di mancato accordo era previsto dalla legge di Bilancio un “contributo straordinario” sugli utili da prelevare alle banche, per coprire i costi della moneta elettronica ed elargire i risarcimenti. Anche su questo, però, nulla di fatto.
Il tavolo – A trattare sotto la presidenza del Ministero dell’economia, si legge in un decreto firmato Mef del 3 marzo, sono la Banca d’Italia, l’Agenzia delle Entrate, l’Associazione bancaria italiana, l’Associazione italiana prestatori servizi di pagamento, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, il Ministero delle imprese e del made in Italy e l’Agenzia per l’Italia Digitale. Il segretario generale di Confesercenti Mauro Bussoni spiega a ilfattoquotidiano.it che la prossima convocazione “è per il 20 aprile, con l’ipotesi anche di arrivare alla definizione di un accordo”. Fino a ora, precisa, non sono stati fatti significativi passi in avanti. “Un confronto con da una parte banche e istituzioni finanziarie e dall’altra le associazioni di impresa non è un incontro in cui la bilancia del potere ha i piatti equilibrati”, ragiona Bussoni. È per questo che il Mef gioca una parte fondamentale nelle trattative. Per il segretario di Confesercenti “è chiaro che se il governo potesse avere un ruolo riequilibratore sulla partita, cambierebbe il discorso”. Mentre continuano le trattative riservate e gli incontri bilaterali tra le parti, Bussoni dice che “la preoccupazione è che il governo si limiti a fare da notaio, senza poter mettere nulla di proprio”. Una possibile soluzione potrebbe essere anche trovare incentivi per i cittadini all’utilizzo della moneta elettronica, “per favorire due o tre anni di transizione in cui si mette tutto a regime”.
Contributo straordinario – Il tavolo per giungere a una soluzione è stato creato lo scorso 3 marzo con un decreto del Mef, ribadendo la possibilità del contributo straordinario previso dalla Legge di bilancio. Il comma 387 dell’articolo 1 di tale legge prevedeva “ove il tavolo istituito non giunga alla definizione di un livello dei costi equo e trasparente entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge […] è dovuto da parte dei prestatori di servizi di pagamento e dei gestori di circuiti e di schemi di pagamento, per l’anno 2023, un contributo straordinario quantificato dalla citata norma”, ovvero pari al 50% degli utili al netto degli oneri fiscali derivanti dalle commissioni per le transazioni inferiori a 30 euro. Da una rielaborazione fatta a partire dai dati dell’Osservatorio Innovative Payments, si tratterebbe di un fondo di circa 185 milioni di euro. Una cifra sufficiente a coprire un eventuale nuovo credito di imposta al 30% per risarcire gli esercenti, una politica il cui costo si aggirerebbe intorno ai 111 milioni di euro. Dalle trattative ancora in corso, però, emerge che si punta a raggiungere un accordo senza arrivare a imporre alle banche questa sorta di sanzione. “Va trovato un equilibrio, non pretendiamo che le banche facciano attività rimettendoci”, sottolinea il segretario di Confesercenti.
I passaggi precedenti – Il governo Meloni a fine novembre 2022 aveva proposto di eliminare l’obbligo di accettare la carta di credito per le transazioni sotto i 60 euro, per permettere ai piccoli esercenti di non dovere pagare commissioni alle banche. Il costo della moneta elettronica, seppur molto calato negli anni, rimane infatti inversamente proporzionale alla grandezza delle imprese. Tradotto: più il fatturato è alto, più basse sono le commissioni. Il semaforo rosso da parte dell’Unione Europea, però, aveva costretto l’esecutivo a fare marcia indietro. “Se non ci sono i margini ci inventeremo un altro modo per non fare pagare agli esercenti le commissioni bancarie sui piccoli pagamenti”, aveva dichiarato la premier.