Il gruppo Volkswagen e la finanziaria che lo controlla, la Porsche SE, ne hanno preso le distanze. E il diretto l’interessato, Siegfried Wolf, 65enne imprenditore austriaco, ha scelto un prudente silenzio rispetto all’articolo dell’autorevole settimanale Der Spiegel che lo indica come mittente di una lettera al presidente della Russia, Vladimir Putin, per ricostruire l’industria dell’auto del paese.

Le formule scelte non lasciano dubbi. Da Wolfsburg i vertici informano di “non essere a conoscenza” né delle missiva né “del suo irritante contenuto”, mentre da Stoccarda si spiega di “non aver saputo e di non sapere della lettera citata”. Il grado di imbarazzo della lettera di misurerà nei prossimi giorni con le eventuali dimissioni (pretese o offerte) da Wolf, che è uno dei pochi membri non esponenti delle dinastie Porsche e Piech che compongono il Consiglio di Sorveglianza della Holding che controlla il colosso tedesco dell’auto.

Wolf siede dal 2019 nel CdS della finanziaria familiare e i suoi legami con la Russia erano e sono noti. Nel 2010 aveva lasciato i suoi incarichi in Magna per diventare presidente del Consiglio di Sorveglianza della Russian Machines dell’oligarca Deripaskas, la stessa carica che aveva poi accettato di ricoprire nella Sberbank Europe AG, una delle filiali del Vecchio Continente della più grande banca russa. Nel gennaio del 2016 è stato insignito con l’onorificenza dell’Ordine dell’Amicizia, istituito quasi 30 anni fa da Boris Eltsin per “premiare persone di qualsiasi nazionalità particolarmente meritorie nel miglioramento delle relazioni con la Federazione Russa e i suoi abitanti”.

Con la propria lettera, che risalirebbe allo scorso gennaio e della quale nessuno ha smentito l’esistenza (Der Spiegel, del resto, ha chiarito di averla visionata), Wolf ha offerto aiuto a Putin per ricostruire l’industria nazionale dell’auto, pesantemente colpita dalle sanzioni, che sono costate anche il ritiro dal mercato (-59% a poco più di 626.000 esemplari) ai maggiori costruttori esteri. L’attuale situazione sta spalancando la strada alle case cinesi, rimaste senza concorrenza.

Il piano di Wolf prevede il rilancio “del leggendario marchio russo Wolga” e, più in generale, di soddisfare “le esigenze dei consumatori per veicoli affidabili e di alta qualità” attraverso la produzione nei due stabilimenti in cui operava il gruppo Volkswagen, quelli di Kaluga e di Nižnij Novgorod. L’ipotesi prevede l’assemblaggio di modelli Skoda come la Rapid, la Octavia, la Kodiaq e la Karoq presentati tuttavia con un design russo.

Il cuore del progetto è la PromAvtoKonsalt, una società russa che ha lo stesso Wolf come proprietario. Il partner industriale sarebbe la GAZ, che si era occupata dell’assemblaggio delle auto del gruppo tedesco dopo l’invasione dell’Ucraina voluta da Putin e nel mirino della comunità internazionale occidentale. L’operazione, scrive Wolf, “costituisce la base per l’ulteriore sviluppo di una industria automobilistica indipendente e moderna nella Federazione Russa” e condurrebbe alla creazione di 12.000 posti di lavoro. Il membro del CdS di Porsche SE sollecita tuttavia anche una linea di credito da parte del governo russo per l’equivalente di 800 milioni di euro.

Il passaggio che irrita il gruppo Volkswagen è quello in cui Wolf anticipa che un “sostanziale accordo con i vertici” del colosso tedesco sarebbe già stato raggiunto. La PromAvtoKonsalt era in effetti fra i potenziali acquirenti delle attività russe del gruppo Volkswagen, che avrebbe però deciso di vendere alla Avilon almeno il sito di Kaluga. Se i vertici del gruppo e della finanziaria che lo controlla non sapevano della lettera e Wolf ha agito individualmente è difficile che il manager possa rimanere nel Consiglio di Sorveglianza della Porsche SE. A meno che egli non sia il mittente di una sorta di (improbabile) “ramoscello d’ulivo” per sondare l’eventuale ripresa dei rapporti con l’Occidente e con l’Europa.

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