L’organizzazione medica francese Prescrire ha pubblicato un suo studio dove analizza decine di farmaci attualmente in uso evidenziando che molti di essi presentano più controindicazioni che efficacia nella cura delle patologie per le quali sono prescritti dai medici.

Hanno suddiviso i farmaci “incriminati” in quattro grandi categorie:
Farmaci cosiddetti “attivi”, ma che presentano rischi sproporzionati rispetto ai benefici che apportano.
Farmaci più vecchi presenti sul mercato il cui uso è ormai superato perché esistono farmaci più recenti che presentano un rapporto beneficio/rischio più favorevole.
Farmaci più recenti il cui rapporto beneficio/rischio è meno favorevole rispetto a quello dei farmaci più vecchi.
E infine, farmaci che non hanno dimostrato di essere più efficaci di un placebo e che sono soggetti a effetti avversi particolarmente gravi.

E in Italia? È stata fatta questo tipo di analisi? Soprattutto, che attendibilità hanno queste valutazioni? “Sono analisi attendibili. La rivista fornisce agli operatori sanitari informazioni chiare, concise, valide e indipendenti da conflitti di interessi”, spiega Alberto Donzelli, medico specialista in igiene e medicina preventiva, presidente della Fondazione Allineare Sanità e Salute (finanziata solo dagli abbonati, senza pubblicità, sovvenzioni o azionisti, neppure pubblici, ndr).

Dottor Donzelli, su quali elementi si basano queste analisi?
“Su criteri predefiniti rigorosi: priorità ai dati di efficacia, anzitutto da studi randomizzati in doppio cieco e comparativi; confronto con i migliori trattamenti di riferimento, con conclusioni chiare, basate sui criteri più rilevanti per i pazienti, come efficacia in termini di salute (al netto di effetti avversi documentati) e qualità di vita”.

Mentre nel nostro Paese?
“Non mi risultano in Italia analisi sistematiche analoghe sui farmaci da evitare. Neppure da autorità pubbliche, che approvano i farmaci in base a tre condizioni di legge: “qualità, efficacia e sicurezza”, necessarie ma non sufficienti: andrebbero integrate con un’altra condizione: ‘e valore aggiunto’. Servirebbe cioè un confronto evidence based (basato sulle prove) con il miglior trattamento disponibile, non solo farmacologico, senza intasare il mercato con migliaia di prodotti senza valore aggiunto rispetto a specifici gold standard, o ad essi inferiori per efficacia, sicurezza o economicità. Aggiungo che molte Istituzioni e Autorità sanitarie, anche pubbliche, hanno condizionamenti dall’industria: per esempio, l’86% del budget dell’European Medicine Agency (EMA) proviene dalle industrie coinvolte nella farmacovigilanza”.

Quali farmaci ancora in commercio sarebbero da evitare?
“La lista dei 107 farmaci indicati da Prescrire è una buona base di partenza. Qualche esempio: Olmesartan (oggi tra farmaci carenti per problemi produttivi o regolatori) non è più efficace di altri sartani sulle complicanze cardiovascolari dell’ipertensione; anzi è stato associato a eccesso di mortalità cardiovascolare, oltre a enteropatie con diarrea cronica grave. Tra i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), comunque abusati, diclofenac e etoricoxib si associano a più eventi avversi cardiovascolari, e piroxicam a più disturbi digestivi rispetto ad alternative di pari efficacia. I farmaci per il morbo di Alzheimer, donepezil, rivastigmina, galantamina, memantina, hanno efficacia minima e transitoria, e danno disturbi anche seri, digestivi, della conduzione cardiaca, sincopi… E poi gli antidepressivi ISRS, di certo abusati nelle depressioni di lieve-media entità, presentano moltissimi effetti avversi, compreso il rischio di dipendenza, che richiede grande cautela nella deprescrizione. L’escitalopram, pur considerato tra i migliori della classe, si è dimostrato di pari efficacia ma meno sicuro della mindfulness nei disturbi d’ansia. Tra i farmaci oggi in carenza figurano anche marchi come Tachipirina o Efferalgan, ben più costosi dell’identico paracetamolo, se acquistato come generico-equivalente. Hanno comunque effetti avversi insospettati, e sono abusati per ‘curare’ una difesa fisiologica dai microbi come la febbre, o per dolori lievi tollerabili. Inoltre, se si applicasse il criterio di non autorizzare prodotti senza valore aggiunto per la salute e/o convenienza della comunità, migliaia di farmaci non sarebbero in commercio”.

La farmacovigilanza dovrebbe essere potenziata? Quali i suoi limiti attuali?
“La farmacovigilanza passiva, con segnalazioni spontanee di sospette reazioni avverse, serve per rilevare eventi rari che possono sfuggire a una farmacovigilanza attiva. Quest’ultima si attua su qualche migliaio di partecipanti negli studi clinici randomizzati controllati (RCT) registrativi di un farmaco, in cui chi lo riceve è sottoposto a esami/sollecitato a cadenze frequenti a segnalare reazioni avverse, da attribuire al trattamento se eccedono quanto si rileva nel gruppo di controllo. La segnalazione spontanea riporta reazioni a farmaci già 20 volte meno di quelle reali, e 6-7 volte meno per reazioni gravi”.

Come può il cittadino orientarsi per prevenire il rischio di assumere medicine che sarebbe meglio evitare?
“Dovrebbe consultare fonti d’informazione scientifica indipendenti, come i bollettini aderenti all’ISDB (International Society of Drug Bulletins, com’è anche Prescrire), e poi parlarne con il medico il curante”.

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