Li osservo da anni. Li ascolto e li vedo agire da sempre. I piccoli imprenditori italiani hanno sostanzialmente uno stile di leadership particolare, caratterizzante, quasi esclusivamente “made in Italy” e diverso rispetto a quello dei grandi entrepreneur e, ancor di più, dei manager (non proprietari) di azienda.

Un modello di leadership che, benché carente di competenze, si aggiunge a quelli ben noti e studiati dalla letteratura di impresa: lo stile “burocratico”(tutto delegato alle regole), quello “assertivo”(l’autorevolezza al servizio dell’organizzazione) , lo stile “tecnocratico” (la risoluzione dei problemi affidata a modelli matematici) e quello “permissivo” (alta discrezionalità che non produce effetto sui comportamenti organizzativi), lo stile “partecipativo” (diviso equamente tra la discrezionalità del leader e l’osservanza delle norme).

I “burocrati” e i “tecnocrati” adottano uno stile di comando rivolto sostanzialmente a dare risultati all’organizzazione, ignorando le reazioni, le emozioni, le motivazioni di coloro che tali risultati devono produrre. Sono individui freddi, duri, che non sanno o non vogliono entrare in relazione sinergica ed empatica con i loro collaboratori. I primi sovente non ottengono neppure i risultati, i secondi spesso si.

I “permissivi” e gli “assertivi” sono, invece molto attenti alla relazione con le persone e in primis con i loro diretti collaboratori; i primi non ottengono risultati, i secondi di frequente si.

E adesso veniamo allo specifico stile di guida del piccolo imprenditore. Per quanto riguarda la sua discrezionalità decisionale essa è molto elevata, ma non totale. Lascia un margine di scelta anche ai suoi collaboratori, ma non sulle decisioni più impegnative per le quali non sente neanche il bisogno di accogliere suggerimenti o di mediare con altri. La forza che ha sull’organizzazione è molto elevata. E’ la risultante della forza della volontà e dell’esempio, della forza psico-fisica e quella derivante dall’avere principi ben saldi e valori ispirati al conservatorismo. Questi atteggiamenti non possono non dare priorità ai risultati rispetto alle persone, anche se verso di esse c’è lealtà nei comportamenti, ma anche massima severità (che può arrivare alla brutalità verbale), pur di raggiungere gli obiettivi.

Con questo atteggiamento esigente prima verso di sé e poi verso gli altri, la “small ownership” (rischio la multa onorevole Rampelli?) crea una squadra coesa, affiatata, entusiasta, pronta ad accettare sfide ritenute da altri impossibili. Ma attenzione, ecco il limite, in questa squadra, con questo stile di leadership, non c’è posto per tutti. Ne abbiamo parlato su queste colonne qualche mese fa.

Rimane il dilemma: si portano a casa i risultati?

Continuando a studiare la cultura della piccola impresa, esercizio che questo giornale mi consente di fare da anni, credo che si possa aprire un dibattito fondamentale per lo sviluppo di un asset fondamentale del sistema economico nazionale.

Buona Pasqua a tutti!

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