Ambiente & Veleni

Siccità, il decreto del governo? Un mese per individuare gli “interventi urgenti”. E niente sulla razionalizzazione dei consumi. “Ma l’emergenza idrica è già in fase critica”

Secondo Giorgia Meloni nessun governo aveva affrontato il problema della siccità “in modo strutturale”, mentre l’attuale esecutivo sceglie di farlo “prima che diventi una emergenza”. Eppure in molte regioni italiane si fa fatica a non vedere nella realtà già un’emergenza in piena regola. E così, il Decreto Siccità arrivato in consiglio dei ministri e approvato un mese e mezzo dopo il comunicato governativo che lo annunciava, non accontenta tutti, anche se raccoglie i commenti positivi di Confagricoltura, Cia e Confartigianato. Anche perché lascia in sospeso alcune questioni, prima fra tutte una razionalizzazione (e programmazione) dei consumi e non convince sui tempi dato che, se tutto andrà bene, passerà un altro mese prima di arrivare alla sola ‘ricognizione delle opere e degli interventi di urgente realizzazione’, come fa notare Ilaria Fontana, capogruppo M5S in commissione Ambiente e Infrastrutture alla Camera. Il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli ha ribattezzato la misura, come il decreto “Speriamo che piova”. Vince certamente la Lega, non solo per i poteri tra cabina di regia e commissario, ma anche per alcune scelte, come quella di prevedere semplificazioni per la creazione di impianti di desalinizzazione, spinti dalla WeBuild, la stessa società che deve costruire anche il Ponte sullo Stretto di Messina. “L’ennesimo commissario con poteri speciali per un problema che affronteremo da qui ai prossimi 40 anni. Mi domando cosa debbano fare le Autorità di bacino se non coordinare e gestire queste situazione” commenta a ilfattoquotidiano.it il portavoce di Forum H2O, Augusto De Sanctis.

Le novità del Decreto Siccità e i tempi stretti – Cuore del decreto presentato dal ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, invece, sono la nascita della cabina di regia, incardinata presso la presidenza del Consiglio e presieduta, per delega, proprio dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Commissario straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica. La cabina comprende i sette ministri delle Infrastrutture, dell’Ambiente, del Pnrr, dell’Agricoltura, della Protezione civile, degli Affari regionali e dell’Economia, oltre al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega agli investimenti pubblici. Entro un mese, è stato annunciato, si terrà la prima riunione nel corso della quale si dovrebbero portare sul tavolo i risultati di una ricognizione delle opere urgenti e di quelle da affidare al commissario straordinario nazionale. Il punto, però, è che a quel punto mancherà poco all’arrivo di giugno, con tutto quello che comporta. Lo fa notare Ilaria Fontana, capogruppo M5S in commissione Ambiente e Infrastrutture alla Camera: “La prova che l’azione di questo Governo sul tema sia stata finora inesistente ce la danno i territori che, in assenza di un coordinamento a livello centrale, stanno iniziando a fare da soli, nella trincea delle criticità da affrontare, anche in vista dell’imminente arrivo dell’estate”.

Il commissario e la linea della Lega, che prende il potere – Il commissario dovrà essere nominato entro 10 giorni dall’entrata in vigore del dl con decreto del premier e resterà in carica fino al 31 dicembre 2023, con l’incarico prorogabile di un anno. Avrà a disposizione una struttura di supporto composta da massimo 25 funzionari, per realizzare gli interventi urgenti di cui è incaricato dalla cabina di regia, monitorare la situazione su tutto il territorio nazionale e l’attuazione delle opere necessarie. Previa delibera del Cdm, il commissario può intervenire con poteri sostitutivi in caso di inerzia o ritardo nella realizzazione degli interventi e sulla gestione delle risorse idriche. Su delega del presidente del Consiglio dei ministri, poi, potrà intervenire adottando, in via sostitutiva, gli atti o i provvedimenti o, se necessario, dando esecuzione ai progetti. “La storia del Pnrr avrebbe dovuto insegnarci qualcosa, dato che commissariamenti per gran parte delle opere e deroghe alle normative ambientali non hanno raggiunto lo scopo primario e le opere continuano a non essere realizzate” spiega Augusto De Sanctis, secondo cui bisogna rafforzare, invece, le strutture già esistenti, come Autorità di ambito e Autorità di Bacino.

Le semplificazioni, croce e delizia – Il decreto prevede procedure accelerate e tempi certi per gli interventi di miglioramento dell’efficienza delle infrastrutture idriche, dato che oggi viene disperso oltre il 42% dell’acqua immessa in rete e di dragaggio degli invasi. In media gli invasi italiani, che sono più di 500mila, hanno in media sessant’anni. La conseguenza è che solo il 70% è in piena funzione e permette una capacità di circa 7mila metri cubi di acqua, quando la capacità consentirebbe di raccogliere 13mila metri cubi. Entro il 30 settembre 2023, le Regioni dovranno intervenire per mettere in efficienza gli invasi esistenti, in particolare attraverso le attività di manutenzione da fanghi e sedimenti. Opere per cui viene istituito un “Fondo per il miglioramento della sicurezza e la gestione degli invasi”. Nessun cenno, invece, al piano Invasi e laghetti lanciato da Coldiretti e Anbi (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) e che prevede la realizzazione di 10mila invasi medio-piccoli e multifunzionali entro il 2030, in zone collinari e di pianura. Anche se sulla realizzazione di nuovi invasi il dibattito è più che mai acceso. Procedure più snelle, poi, fino al 31 dicembre 2023, per le attività di riutilizzo delle acque reflue depurate in agricoltura (oggi solo il 4% delle acque reflue viene reimpiegato) attraverso il rilascio di un provvedimento autorizzatorio unico, un intervento fortemente voluto da Confagricoltura, che porta a casa anche la possibilità di realizzare invasi aziendali per gli imprenditori agricoli.

Via libera ai dissalatori – Le semplificazioni, riguardano invece le attività per la realizzazione di impianti di desalinizzazione. E questo è un punto delicato. Perché significa che non sarà più prevista la valutazione d’impatto ambientale per gli impianti più piccoli. E si spiana la strada al piano già presentato nel 2022 dalla WeBuild per creare una rete di dissalatori (con i fondi del Pnrr). Non si sa come andrà, ma certamente si volta pagina rispetto alla posizione molto chiara assunta dal Governo Draghi nella legge ‘Salvamare’. Eppure nella Legge Salvamare approvata a giugno 2022, lo stesso governo Draghi era giunto alla conclusione che i dissalatori possono rappresentare l’ultima spiaggia, convenendo costruirli “in situazioni di comprovata carenza idrica e in mancanza di alternative”. “I dissalatori utilizzano una tecnica fortemente energivora, sviluppata in Paesi dove manca acqua dolce. Noi, invece, siamo un paese ricco di acqua dolce, ma non la tuteliamo” spiega a ilfattoquotidiano.it Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace, ricordando che “l’agricoltura ne consuma oltre il 50%, principalmente per le colture del riso e del mais”. Quest’ultimo necessario soprattutto per per sostenere la produzione di carne negli allevamenti intensivi. “In generale, poi, preoccupa sempre la parola semplificazione se questo significa saltare passaggi importanti degli iter autorizzativi, come la Valutazione di impatto ambientale per gli impianti che si ritiene siano a basso impatto” aggiunge Savini. Un esempio è proprio quello dei dissalatori: “Ma la Via si deve ottenere proprio per stabilire con certezza quale sia l’impatto di un impianto”.

Cosa manca: dalla lotta al cambiamento climatico alla programmazione dei consumi – La misura che riguarda le acque reflue è l’unica nota positiva, secondo il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Verdi e Sinistra Angelo Bonelli, secondo cui “il governo dimostra la sua totale inadeguatezza ad affrontare la crisi climatica in atto”, in primis con l’assenza “di politiche che contrastino i cambiamenti climatici”. Nonostante siano previsti Osservatori distrettuali permanenti sugli utilizzi idrici e per il contrasto ai fenomeni di scarsità idrica, istituiti presso ciascuna Autorità di bacino distrettuale e multe fino a 50mila euro per chi estrae acqua pubblica in modo illecito, c’è chi sottolinea una mancanza di programmazione sul consumo di acqua in Italia. “Il decreto interviene in modo emergenziale e solo sulle infrastrutture” spiega Simona Savini, secondo cui non viene affrontato il problema dei consumi idrici, mentre si continua a parlare di nuovi invasi. “Si possono anche costruire più invasi, ma non risolveranno il problema se non piove o piove sempre meno. Già quelli che ci sono sono pieni per circa un quinto della capacità” aggiunge, sostenendo che è altrove che vanno trovate le soluzioni. “Non c’è, invece, una programmazione dei consumi a monte – spiega – per capire quali sono i settori che richiedono più acqua e dove conviene intervenire”. Secondo Augusto De Sanctis di Forum H2O “serve una tutela della risorsa idropotabile a monte. Dal 2006 per legge le Regioni avrebbero dovuto delimitare le ‘aree di salvaguardia delle sorgenti’. Aree dove “non vai a costruire una fabbrica chimica o cave, perché si rischia di depauperare la risorsa”. A distanza di 17 anni solo un paio di Regioni lo hanno fatto e un altro paio di Regioni hanno elaborato uno studio. “L’Abruzzo lo ha fatto – racconta – con una spesa di 440mila euro e lo ha depositato nel 2017, ma non lo ha attuato perché occorre mettere dei vincoli”. La domanda è automatica: “Ora dovrà il commissario risolvere a valle il problema che, invece, va risolto a monte da alcune decine di anni?”.