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Disegno di legge sui disturbi alimentari, cosa ne pensano i medici: “Il focus sui social può avere ricadute negative sui percorsi di cura. Nuovi reati? Meglio la prevenzione”

di Ilaria Mauri

Magrezze tossiche, corpi asciutti con addominali irrealisticamente scolpiti, pubblicità di massaggi e trattamenti estetici che promettono perdite di peso “miracolose” immortalando modelle già pelle e ossa. E poi ancora piatti con tre paccheri di numero e suggerimenti di diete improbabili. I social – da Instagram a Tiktok – sono ormai sempre più amplificatori di modelli sbagliati e canoni estetici irrealistici (spesso frutto di Photoshop) e ad assorbirli sono in primis i giovani, anzi giovanissimi, che più facilmente vengono influenzati contenuti che l’algoritmo propone loro incessantemente. Così, il confronto costante con i coetanei e con i riferimenti proposti si insinua subdolamente in loro, amplificando la sensazione di non essere all’altezza perché – soprattutto in una fase delicata come quella dell’adolescenza -i ragazzi hanno un bisogno estremo di approvazione e spesso dipendono dallo sguardo dell’altro. Ecco perché l’uso problematico di queste piattaforme viene oggi considerato un fattore di rischio e precipitante dei disturbi alimentari. Per anoressia e bulimia perdono la vita 4.000 giovani l’anno: introdurre nel codice penale il reato di istigazione a questi e altri simili disturbi alimentari, è l’obiettivo del disegno di legge presentato dal senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni che prende di mira i “thinfluencer” e prevede multe da 20.000 a 60.000 euro e carcere fino a due anni. Non solo: la proposta si prefigge anche di riconoscere i disturbi dell’alimentazione come malattia sociale, prevenzione e sostegno alla famiglie (qui il testo). Sebbene questo testo sia un importante segnale di attenzione verso queste patologie che, soprattutto dopo la pandemia, hanno fatto registrare un’impennata di casi, dall’altra non mancano le perplessità sul fatto che sia semplicistico ridurre la questione al ruolo dei social. I disturbi alimentari hanno infatti una patogenesi multifattoriale in cui rientrano diversi aspetti bio-psico-sociali. Ne abbiamo parlato con il dottor Stefano Lucarelli, psichiatra e psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale direttore UFSD Disturbi dell’ Alimentazione e della Nutrizione ASL Toscana Centro; e con la dottoressa Maria Rita Troiani, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale dirigente Psicologo UFSD Disturbi dell’ Alimentazione e della Nutrizione ASL Toscana Centro.

Quali sono le criticità di questa proposta di legge?
Ci sembra comunque da sottolineare che l’interesse degli organi di governo in questo senso è comunque apprezzabile. Entrando nello specifico del ddl, ad oggi a nostra conoscenza non ci sono dati in letteratura sufficientemente solidi da permettere di prendere una posizione scientificamente supportata. Esprimiamo quindi un parere da considerarsi personale e basato sulla nostra esperienza di clinici. Quindi con tutte le incertezze suddette il nostro parere è che questa legge non sia protettiva nei riguardi proprio delle persone che dal disturbo alimentare sono affette.

Ora si punta l’attenzione sull’impatto dei social media o dei siti web, chat e blog che spiegano come fare per non assorbire cibo o far passare la fame ma in realtà i DAN sono disturbi che hanno cause spesso più profonde e diverse
Certamente riteniamo doveroso che chi con colpa utilizza i canali mediatici per danneggiare l’incolumità psicofisica dell’altro sia da punire. A nostro avviso però sono già in essere strumenti legislativi atti a limitare e a perseguire, ove necessario questi atteggiamenti e che quindi una legge ad hoc sia solo ridondante e foriera di fuorvianti interpretazioni. E’ utile ricordare che al momento, l’eziopatogenesi del disturbo alimentare non è nota. La teoria più accreditata è quella del modello Bio-Psico-Sociale e multifattoriale per cui il potenziale rischio dei contenuti del ddl è quello di alimentare il convincimento che il DAN sia dovuto esclusivamente o per lo più a fattori socio ambientali. Questo potrebbe avere delle ricadute negative sui percorsi di cura favorendo una eccessiva esternalizzazione delle cause della malattia e una maggiore resistenza all’ingaggio terapeutico.

Che impatto potrebbe avere una legge di questo tipo a livello pratico nella lotta alla diffusione dei disturbi alimentari?
Identificare i contenuti del ddl come atto di prevenzione dei DAN ci sembra inappropriato; negli ultimi 20 anni gli studi sulla prevenzione hanno sottolineato come essa si debba basare su percorsi di “peer counselor” e potenziamento delle “life skills”, quindi una prevenzione mirata allo sviluppo dei fattori protettivi. Il nostro convincimento è che la prevenzione debba far leva non sulla riduzione degli stressor ambientali, auspicabile ma purtroppo difficilmente realizzabile, ma su l’implementazione delle capacità di resilienza dell’individuo. Il problema quasi ma stai nel contenuto del messaggio, qualunque esso sia, ma nell’interpretazione soggettiva che gli viene attribuita.

I dati dicono che in Italia oltre il 5% della popolazione pari a circa 5 milioni di persone soffre di disturbi del comportamento alimentare: questa è però solo la punta dell’iceberg in quanto si tratta dei casi accertati da diagnosi, ma esiste anche una casistica non conclamata?
In questo momento storico i Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione (DAN) hanno presentato un evidente incremento dei tassi di prevalenza; c’è un sostanziale accordo della comunità scientifica di un aumento del 40% dei nuovi casi. Si è assistito anche ad una riduzione dell’età di esordio del disturbo e a una maggiore complessità di presentazione clinica. E’ sempre utile ricordare che, verosimilmente, i numeri siano sottostimati in ragione della difficoltà di censimento epidemiologico, a causa dei pazienti che afferiscono a servizi privati.

C’è il rischio che l’attuale formulazione della proposta di legge possa risultare “punitiva” e suscitare sensi di colpa?
Sì, ci sembra doveroso segnalare come questo ddl possa suscitare vissuti di colpa e di inadeguatezza da parte dei familiari per non essere riusciti a proteggere i loro figli dall’esposizione ai contenuti social. E’ fondamentale invece ribadire che i familiari non sono imputabili come responsabili in qualsivoglia modo della sofferenza dei figli indotta dal disturbo alimentare ma rappresentano invece una risorsa importante ed insostituibile nel percorso di cura.

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