Quanto sia difficile la condizione dei giovani italiani di fronte a un mercato del lavoro che offre poche e cattive possibilità, stipendi che sono meno della metà rispetto ad altri paesi europei e politiche sociali per alloggi inesistenti è purtroppo cosa nota. Un altro indicatore, che di tutti questi fattori è la sintesi, e che punta nella stessa direzione è quello relativo al rischio di povertà. Nel nostro paese un giovane tra i 15 e i 29 anni ogni quattro (poco meno del 25 %) risulta essere a rischio povertà. A certificarlo, basandosi sulle ultime statistiche dell’Unione europea relative al 2021, è Eurostat, l’istituto di statistica europeo. In generale, l’Italia è al quinto posto della classifica (partendo dal basso) dei Paesi europei dove la vita dei giovani è più dura: peggio di noi si sono classificate Danimarca, Grecia, Spagna e Romania. Il dato della Danimarca è particolarmente curioso anche perché il rischio di povertà complessivo (in tutte le fasce di età) è tra i più bassi in assoluto.
Si viene considerati a rischio povertà quando il reddito disponibile è del 60% al di sotto del valore mediano nazionale. Il dato danese dipende probabilmente dal fatto che il reddito mediano nazionale è particolarmente elevato, quindi non necessariamente essere inclusi nella zona di “pericolo” significa avere un tenore di vita particolarmente modesto. Diverso il discorso per gli altri paesi, Italia inclusa, dove il reddito è particolarmente basso in tutte le fasce anagrafiche della popolazione. Se il tasso viene rapportato all’intera popolazione il pericolo di trovarsi in una situazione di disagio economico per un cittadino italiano si riduce al 20%, comunque al di sopra della media europea (17%). Otto sono i paesi in cui i giovani presentano un livello di rischio più basso rispetto all’insieme della popolazione. Si tratta di Lettonia, Estonia e Lituania, Croazia, Malta, Slovenia e Irlanda.
L’altro, più allarmante, indicatore è quello sulla condizione di grave deprivazione materiale e sociale, una condizione in cui diventa effettivamente impossibile comprare tutti i beni di cui si avrebbe bisogno per mantenere un tenore di vita accettabile. Non si riesce quindi ad esempio a permettersi un connessione internet, a comprare nuovi vestiti e scarpe per sostituire quelli usurati. Tra i giovani italiani il tasso di deprivazione si attesta al 5,6%, leggermente al di sotto della media europea del 6,1% (6,3% il dato per tutte le fasce di età). Come segnala il report Eurostat i tassi di deprivazioni più elevati si registrano in Romania (23,1%), seguita da Bulgaria (18,7%) e Grecia (14,2%). Alto anche il tasso spagnolo (7,1%) mentre la quota scende sotto al 3% Lussemburgo, Polonia, Svezia, Cipro, Repubblica Ceca, Paesi Bassi, Croazia, Slovenia, Finlandia, Austria ed Estonia.
Il primo aprile i dati di Eurostat hanno mostrato come l’Italia sia sprofondata in ultima posizione per quanto concerne il tasso di occupazione, ossia la quota di persone che lavorano sul totale della popolazione che ha l’età per farlo. Appena il 60,2%, alle spalle anche della Grecia. Il dato è molto influenzato dalla componente femminile (tasso al 51.9% a fronte di una media Ue del 64% e un dato tedesco del 73%) ma è caratterizzato anche da forti differenze territoriali. In Sicilia lavorano appena 2 donne ogni 5 (41%), in Emilia Romagna si sale al 68%, ben oltre la media europea. Non aiuta il dato sul reddito neppure l’alta incidenza di contratti flessibili e precari sebbene le ultime rilevazioni Istat abbiano fornito qualche indicazione incoraggiante. Sul sfondo si staglia la questione demografica con un repentino calo della natalità e un progressivo e inesorabile incremento dell’età media della popolazione, questione che pone seri problemi per la tenuta del sistema previdenziale. Alla fine tutto si tiene.
Giovani che guadagnano poco non sono in grado di costituire una famiglia e fare figli, pochi figli significano pesi maggiori per i conti pubblici che riducono la disponibilità di risorse per politiche sociale a favore dei più giovani. Costrizioni economiche a cui, naturalmente, si sovrappongono decisioni politiche che in Italia non sono mai state particolarmente attente ai giovani. Non sembra una grande idea, in tale contesto, eliminare anche quelle poche misure di aiuto (anche) ai più giovani come il reddito di cittadinanza, la cui sostanziale soppressione consente anche ai datori di lavoro di proporre condizioni di lavoro particolarmente penalizzanti dal punto di vista economico. Un serpente che si morde la coda e che continuerà a farlo senza un intervento dall’esterno.