Tutti contro la riorganizzazione targata Valditara. L’annunciato dimensionamento della rete scolastica che dovrebbe partire con il prossimo anno prevedendo l’accorpamento in alcuni anni di circa 700 istituti (con la sparizione di altrettanti presidi e Dsga, più qualche migliaio di amministrativi) sta scatenando l’ira di tutti: dalle organizzazioni sindacali, ai dirigenti scolastici, alle Regioni. Il Governo Meloni ha già preso in mano la scure e non sembra, per ora, intenzionato a fare passi indietro.

Nella legge di bilancio 2023 del 29 dicembre 2022, è stata inserita una norma del Pnrr di dimensionamento delle istituzioni scolastiche che obbliga le Regioni ad intervenire. Ecco la novità: il coefficiente di calcolo applicato dal ministero per il computo delle autonomie scolastiche è “non inferiore a 900 e non superiore a 1000”. Entro il 30 novembre di ciascuno degli anni (a partire dal prossimo) si dovrà tagliare. Nel primo settennio, sono state previste rettifiche non superiori al 2% per anno. A saltare sulla poltrona per primi sono le organizzazioni sindacali. La segretaria nazionale della Cisl Scuola Ivana Barbacci spiega a ilfattoquotidiano.it: “La situazione non è uniforme nel nostro Paese: in alcune regioni i nuovi parametri corrispondono alla situazione in atto, in altre la consistenza media degli istituti è molto più bassa, quindi occorrerà sfruttare appieno le gradualità previste dalla norma e, se necessario, introdurre ulteriori correttivi che consentano di rendere sostenibile il percorso di riorganizzazione. La scuola non può essere governata con criteri ragionieristici, i numeri sono persone cui garantire un diritto fondamentale”.

Valditara a più riprese si è si difeso definendo la sua operazione un “efficientamento della presenza della dirigenza sul territorio, eliminando l’abuso della misura della reggenza” senza prevedere “chiusure di plessi scolastici”. Ma non è così per Barbacci, che dice: “È vero che il dimensionamento riguarda le circa 8mila istituzioni scolastiche oggi esistenti, intese come unità amministrative, non le 40mila e più sedi in cui effettivamente il servizio scolastico viene svolto, ma resta il fatto che in alcuni casi la sede di direzione dell’Istituto sarebbe più lontana dalle scuole, così come si avrà un calo di organico per dirigenti e Dsga. Per questo devono essere attentamente valutate le specificità delle diverse situazioni”.

Preoccupato per la situazione è anche il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico che interpellato dal nostro giornale sottolinea come “il dimensionamento scolastico deve essere rivisto perché va contro le stesse linee guida del Pnrr che intendono superare il vecchio rapporto numero di alunni per classe per giungere a un servizio più legato ai risultati. Per garantire il successo formativo bisogna aumentare le sedi di presidenza drasticamente già ridotte di un terzo negli ultimi dieci anni nonostante rappresentino un presidio dello Stato e assegnare docenti alle classe in base ai reali fabbisogni e alle sfide educative”.

Nei fatti i numeri dicono il contrario: secondo quanto segnala il Giornale di Sicilia entro un anno nell’isola si rischiano di perdere 109 scuole a causa degli accorpamenti. A detta de Il Mattino in Campania, intanto, si prevedono 140 fusioni, in Calabria 79, in Puglia 66. Sono stati programmati anche 45 accorpamenti di scuole in Sardegna e 37 nel Lazio. Il Governatore Vincenzo De Luca è intenzionato a impugnare la decisione del governo sul dimensionamento scolastico davanti alla Corte Costituzionale. Anche la Puglia “resisterà – ha detto l’assessore regionale Sebastiano Leo – con forza ad una politica che vuole accorpare le scuole senza alcuna reale riflessione, che non tiene conto della natura articolata della scuola, delle esigenze delle regioni, dei territori, della voce delle persone che noi in qualità di assessori rappresentiamo”.

A Roma, al contrario, sottolineano che i risparmi che si verranno a determinare saranno indirizzati a incrementare il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche e eventuali altri finanziamenti a favore del personale direttivo e di quello docente. Nel 2031/32, il numero delle istituzioni scolastiche autonome dovrebbe risultare ridotto a 6.885. Ma a contrastare questa logica è il segretario nazionale della Uil Giuseppe d’Aprile che a ilfattoquotidiano.it dice: “Indipendentemente dal governo pro tempore in carica qualsiasi esecutivo che decide di tagliare sul sistema di istruzione, agendo sulla base di logiche da ragioniere, non è un governo lungimirante. La scuola va tenuta fuori dai vincoli di bilancio. E’ questo il principio per sostenere un sistema di istruzione nazionale, moderno e di qualità. Inutile trincerarsi dietro all’analisi demografica perché l’insieme degli studenti della scuola dell’obbligo non è solo un numero, corrisponde a giovani in realtà e condizioni molto diverse, a cui si può dare una risposta a partire proprio dalla dimensione delle classi: 20 alunni dovrebbero tornare ad essere uno standard per il nostro Paese. Se si considerasse la scuola determinate per il futuro del paese il tema della denatalità dovrebbe rappresentare una opportunità e non una penalizzazione. Trasformare, quindi, un problema in opportunità”.

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