A cinque anni di distanza dall’ultimo disco del progetto discografico “L’amore e la violenza”, i Baustelle sono tornati assieme con il nono album “Elvis”. Il nuovo percorso discografico di Francesco Bianconi, Claudio Brasini e Rachele Bastreghi vira verso il blues, il soul, il rock and roll e il boogie. “Abbiamo preso una direzione più rock con la volontà di esplorare territori che non avevamo mai toccato prima. – ha dichiarato Bianconi a FqMagazine – Questo è un disco che ha una forte matrice americana blues, più rude, autentico e suonato. Abbiamo preso una nuova direzione che raramente è stata percorsa dalla musica italiana. A parte rare eccezioni come Zucchero, Pino Daniele, Celentano, Jannacci e Gaber. Nel nostro piccolo abbiamo cercato di allinearci a quei suoni”. Dopo l’annuncio del sold-out del tour primaverile nei club italiani, i Baustelle si proseguiranno il loro Elvis tour anche in estate, al via il 2 luglio da Tarvisio (UD).
Perché avete dedicato il titolo del disco ad Elvis?
Al di là dell’ispirazione rock, quando penso ad Elvis lo ricolloco anche alla sua fase decadente, grassa, sudata e impasticcata, sempre sull’orlo del collasso. Nonostante tutto l’artista Elvis non si è mai sottratto, fedele alla regola del ‘The Show Must Go On’, si è sempre presentato sul palco, spinto dalla sua arte e dalla voglia di cantare. Una specie di grande piccola metafora di quello che siamo diventati tutti, in questo momento storico, dove siamo costretti a metterci in mostra in qualche modo sui social, diventando più tragicomici di Elvis. Quest’ultimo almeno cantava e scaldava il cuore. Siamo tutti un po’ Elvis, un po’ sfigati. Insomma ero interessato a raccontare anche l’essere umano che sbaglia.
“Andiamo ai rave” cavalca il tema discusso dal Governo Meloni, a pochi giorni dall’insediamento. Avevi previsto già tutto?
Non avrei mai potuto immaginare che dopo aver scritto questa canzone si sarebbe scatenato tutto quel dibattito, tanto che sono stato preso in giro dai miei amici. Insomma sembra che io abbia modificato la realtà (ride, ndr).
Cosa ne pensi?
Tutto ruota attorno al concetto sul cosa dovrebbero fare i ragazzi per sfogare la loro libera espressione di giovinezza. Dal momento che si trovano dentro un cattivo sistema, si trovano costretti, quasi obbligati, ad andare ai rave perché per loro sembra essere unico modo per esprimersi. Sono tutti come pecore che vanno in questi luoghi perché si ha la percezione che solo lì ci si diverte. Intendiamoci i rave sarebbero anche una figata se si potesse ballare all’aria aperta e in tranche, in realtà è solo uno squallido e disperato ghetto. Sono contro la cultura del divertimento e dello sballo a tutti i costi.
Cosa spinge i giovani ad andare ai rave?
La voglia di mascherare il vuoto che c’è dentro ognuno di noi. I ragazzi di oggi sono assai fragili e appesi al nulla come fossero carne al macello, questa cosa mi spiace molto.
“Los Angeles” parla di guerra e di Ucraina. Da dove nasce l’ispirazione?
L’ho scritta poco dopo l’invasione russa in Ucraina. L’ispirazione parte dal sogno di scappare, verso dove non si sa… Tanto non c’è via di scampo.
Quest’anno avete preso in considerazione l’idea di andare in gara a Sanremo? Il vostro nome è circolato…
A Sanremo ci va chi ci vuole andare, non era nei nostri programmi. Con una boutade avevo dichiarato che Sanremo è come la morte e cioè che gli si dà troppa importanza. Io non me la sento e credo che i Baustelle hanno seminato con coerenza un percorso definito. Sicuramente le ultime edizioni sono migliorate tantissimo rispetto a quando ero piccolo. Gli ultimi direttori artistici sono stati bravi. Certo, la kermesse rimane pur sempre uno spettacolo televisivo, ma ammetto che nella proposta musicale c’è una rappresentazione di quasi tutta la musica che gira in questo momento. Poi c’è anche un altro spunto di riflessione…
Quale?
La percezione di quanto la musica italiana sia influenzata da questo unico evento televisivo, come fosse un percorso obbligato partecipare. Lo dico senza alcuna polemica, ci siamo pure andati come ospiti. Però ritengo che sia importante tornare ad un modo di pensare la musica, indipendentemente dal Festival. Ma penso anche che si possa fare a meno di una gara televisiva, perché la musica non è la televisione. Ma rispetto comunque chi decide di farlo.