Sono già alle accuse reciproche di voler far saltare tutto, di essere i responsabili dell’eventuale fallimento del partito unico centrista. E alla fine di una giornata di nervosismo e messaggi fatti filtrare anonimamente, è Carlo Calenda a metterci la faccia parlando direttamente all’altra leadership di Azione-Italia Viva: “C’è un punto fondamentale: abbiamo promesso un partito unico e Renzi su questo non sta rispondendo. Questo non va bene”, afferma a dì Martedì su La7. E l’altro già bolla il tutto come “alibi e finte motivazioni” e avvisa: “Abbiamo già accettato tutto, non possiamo accettare altro”.

La fusione che dovrebbe portare – Matteo Renzi dixit il 4 dicembre scorso – il nuovo partito ad essere il più votato alle Europee del 2024 sembra sempre più distante, forse non avverrà mai. Per colpa di chi è il fulcro delle accuse e contraccuse che vanno avanti tra le due metà del “Terzo” Polo. “Renzi credo che può avere legittimante una idea diversa, ‘nulla quaestio’, ognuno è libero di cambiare idea quando vuole. La cosa importante è che sia trasparente e chiaro. Lui vuole mantenere Italia Viva ma non può nascere un partito nuovo se rimangono i due di provenienza. Deciderà confrontandosi con i suoi, ne prenderò atto”, ha attaccato Calenda.

Il leader di Azione ha poi lamentato l’atteggiamento avuto dai fedelissimi dell’ex presidente del Consiglio nelle scorse ore, quando gli attriti sono deflagrati: “Ho visto dichiarazioni molto dure e attacchi molto personali nei miei confronti da parte di molti dirigenti di Italia viva. Non ho sentito Renzi, ma non risponderò per rispetto dei 2 milioni e 400mila elettori, l’8% dei voti che abbiamo preso con il mio nome sul simbolo e che odiano le polemiche da cortile e ai quali abbiamo promesso di fare un partito unico”.

E proprio sui manifesti dove campeggiava il suo nome è stato sferrato uno degli attacchi più duri. A portarlo è stato Francesco Bonifazi, renziano di ferro: “Leggo che il problema del Terzo Polo sarebbero i soldi. In sei mesi Italia Viva ha pagato spese per oltre 1 milione di euro, quasi tutto per le affissioni col volto di Calenda. Basta polemiche, si faccia il congresso e vinca il migliore. Ma nessuno cerchi alibi”.

La rottura, insomma, è a un passo. E almeno pubblicamente c’entrano i soldi. A meno di due mesi dalla sua nascita ufficiale – il 10 giugno sono convocate le assemblee nazionali di Azione e Italia viva per l’ok formale al partito unico – tutto rischia di saltare. I malumori tra le due anime centriste, esplosi dopo la decisione del leader di Iv di assumere la direzione del Riformista a partire dal 3 maggio prossimo, sono arrivati in poche ore oltre ogni livello di guardia. Il futuro da giornalista di Renzi continua a destare non poche preoccupazioni dalle parti di Azione: “Uno deve decidere se nella vita fa politica o informazione. Quando mi telefona Renzi mi parla del partito o mi intervista per il Riformista?”, si domanda l’ex renziano ora calendiano Matteo Richetti, ma non è solo questo a rischiare di far saltare il banco.

Le accuse, al veleno, si incrociano: “La vera ragione per cui Carlo è impazzito è che ha capito che qualcuno di noi vuole candidarsi contro di lui”, attaccano i renziani, che continuano a fare il nome di Luigi Marattin quale possibile avversario del leader di Azione nella corsa alla segreteria del partito unico. Non solo. “Azione potrebbe perdere pezzi: Carfagna potrebbe lasciare”, è la previsione di chi vede l’ex ministra del Mezzogiorno “pronta a tornare in Forza Italia”.

Secca la replica dal quartier generale di Calenda: “Il nodo è che Renzi, tornato a fare il segretario di Italia Viva, non vuole scioglierla e non vuole destinare il 2×1000 al nuovo partito. Il ragazzo sui soldi non scherza”, è l’accusa. Che però viene respinta al mittente dai renziani: “Sciocchezze”. E il leader di Italia Viva ragiona sulle condizioni dell’alleato in una riunione notturna con i suoi: “Qualcuno dice che la rottura in atto nasce per questioni di soldi, qualcuno per esigenze legate al Riformista, qualcuno dice per esigenze legato allo sciogliemento dei partiti. Si tratta di alibi e di finte motivazioni”.

Ai dirigenti di Italia Viva – con Teresa Bellanova, Roberto Giachetti, Sandro Gozi, Ivan Scalfarotto e Lisa Noja che nella riunione hanno usato toni “durissimi” contro Calenda e Richetti – bolla come “inspiegabile” la crisi: “Non c’è nessun motivo politico per rompere il progetto”. E detta la linea pubblica: “Da parte mia non farò nemmeno mezza polemica nei confronti di Calenda, non ho elementi di frizione personale con nessuno. Questo atteggiamento fa male ai sogni e ai desideri di chi vorrebbe fare politica, ma non mi faccio trascinare nelle beghe politiche. È folle mandare a monte tutto, se Calenda dirà di no si assumerà le responsabilità. Nessuno faccia o alimenti polemiche, se vogliono le facciano loro, noi no”.

Ma subito dopo scatta l’avvertimento finale: “Non c’è nessun cambio di linea da pare nostra, anzi. Abbiamo accettato di tutto, il passo indietro mio, il partito unico, la polemica sui simboli alle Regionali. Non so cosa altro poter accettare, abbiamo accettato persino che per il congresso valesse anche per il tesseramento unico che è complicato da gestire. Non possiamo accettare altro”. Accuse e contraccuse, passandosi il cerino. La partita è ancora lunga.

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