Si è temuto l’escalation di violenza nei luoghi santi di Gerusalemme durante il mese di Ramadan e infatti tutti gli sforzi per prevenire qualsiasi violenza sono falliti. Il livello di violenza sta aumentando di giorno in giorno tanto da essere percepita ormai come parte della vita quotidiana della città. Mentre gli sforzi diplomatici hanno cercato di contenere la situazione, la realtà che si vive nel territorio sta peggiorando, assumendo anche un nuovo tono che si avvicina a una guerra religiosa con dichiarazioni radicali e crescente aggressività Pessimisticamente, è difficile vedere una soluzione dall’esterno che abbia un impatto reale. Promesse, pressioni e impegni diplomatici sono attivi all’estero, ma non sulla scena del conflitto.
Considerando la situazione i paesi arabi che hanno avviato un processo di pace con Israele potrebbero prendere in considerazione lo strumento della pressione diplomatica sul governo israeliano per agire e prevenire l’escalation, e gli Emirati Arabi Uniti stanno lavorando in questa direzione. Tuttavia, la realpolitik limita l’efficacia di questi sforzi poiché è improbabile che un cambiamento nel tono diplomatico, le minacce di limitare la cooperazione in materia di sicurezza e le condanne della risposta israeliana da parte di paesi come gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e Marocco portino ad azioni serie come interrompere le relazioni o porre fine alla cooperazione. Israele è consapevole di ciò, quindi le iniziative all’interno del conflitto hanno maggiori probabilità di aprire la strada a risultati realmente efficaci in questa fase.
Allo stato attuale, il conflitto oggi sembra essere guidato da tensioni religiose, e purtroppo questo elemento è destinato ad amplificare il conflitto, quindi è importante eliminare la religione come strumento di ostilità. Ciò richiede un processo di diplomazia parallela e strumenti religiosi da utilizzare per contenere la situazione.
Il rischio reale di una guerra religiosa dovrebbe motivare tutte le potenze religiose interessate a intraprendere azioni coraggiose nello svolgere un ruolo per impedire che la religione venga sfruttata e garantire che invece svolga un ruolo per porre fine al conflitto. Questa diplomazia religiosa è l’unica via che potrebbe guidare un cambiamento dall’interno e utilizzare la fonte del conflitto per farlo diventare il motore della pace.
Per anni ci sono stati molti tentativi di dialogo e impegno interreligioso, quindi la domanda oggi è se questa eredità di dialogo possa svolgere un ruolo in un momento così critico. Questo è il momento che tutti coloro che si oppongono alla violenza e sono preoccupati per i rischi che l’escalation potrebbe comportare per il futuro della regione intervengano. C’è un reale bisogno di un’iniziativa internazionale che riunisca tutti i leader religiosi che possono svolgere un ruolo nel contenere il peggioramento della situazione. Le iniziative politiche e gli sforzi diplomatici dovrebbero sostenere queste iniziative diplomatiche, poiché rimuovere il ruolo della religione nell’escalation del conflitto e garantire che non scoppi una guerra religiosa, non è un obiettivo facile da raggiungere. È tempo che la religione sia al servizio della buona politica e della diplomazia basata sui principi.
Le procedure politiche e diplomatiche potrebbero essere molto utili per consentire visioni religiose moderate, in quanto possono esercitare una pressione reale sulla fonte del problema. Questa fase attuale è critica e ha bisogno di passi coraggiosi e chiari, creando una base per nuove narrazioni riconciliatrici, poiché questo è l’unico modo per porre fine all’uso strumentale della religione a fini politici.