L’India sta inondando l’Europa di prodotti raffinati ottenuti da petrolio russo di cui ha ingigantito le importazioni. Secondo i dati diffusi da Reuters a marzo Nuova Delhi ha comprato da Mosca 1,6 milioni di barili al giorno, nel marzo del 2022 non arrivavano a 70mila. La Russia è così diventato il primo fornitore del paese, nonostante costi di trasporto superiori a quelli da stati limitrofi, con una quota che è ormai quasi doppia rispetto a quella dell’ Arabia Saudita, seconda in classifica. A causa delle sanzioni (che complicano le operazioni di assicurazione dei carichi e di credito bancario per acquistarli) il petrolio russo viene venduto a sconto rispetto alle quotazioni di mercato. Questo consente alle raffinerie indiane di lavorarlo e rivendere i prodotti ottenuti all’Europa e accumulare grandi profitti. Prima dell’invasione dell’Ucraina l’Europa importava dall’India 154mila barili al giorno tra gasolio e carburanti per aerei. Oggi gli acquisti superano i 200mila barili. Il 30% del gasolio raffinato in India arriva in Europa, un anno fa era il 22%. I principali acquirenti europei sono Francia, Turchia, Belgio e Paesi Bassi.

L’affare degli idrocarburi russi è talmente vantaggioso che persino l’Arabia Saudita, che galleggia su un mare di petrolio di alta qualità e facile da estrarre, ha iniziato a importare sempre più petrolio da Mosca per soddisfare il fabbisogno interno e vendere quantità ancora maggiori del suo all’Europa. Turchia, Brasile, Cina, Tunisia Marocco….tutti paesi che stanno accrescendo le importazioni di greggio di Mosca. In marzo la quantità di gasolio russo importato da Singapore è raddoppiato rispetto all’anno scorso, superando i 342mila barili.

Prima o poi l’Europa dovrà porsi il problema di un embargo sul petrolio e sul gas russo che fa acqua da tutte le parti e finisce per penalizzare soprattutto, se non solo, il Vecchio Continente. Che Mosca sia riuscita a dirottare una parte significativa dei suoi flussi è cosa nota. E altrettanto noto è il fatto che i prodotti russi continuano ad arrivare in Europa (ma a prezzi più alti) dopo la triangolazione con altri paesi. Gli Stati Uniti, primi produttori di petrolio al mondo e quasi autosufficienti ,fanno affari d’oro vendendo ai paesi europei gas liquefatto (gnl) che compensa le minori forniture dalla Russia. Il Giappone ha messo un piede fuori dall’alleanza anti Putin, decidendo di continuare a comprare petrolio russo pagandolo più dei 60 euro previsti dall’embargo occidentale applicato come ritorsione per l’invasione dell’Ucraina. Utile sempre ricordare che il Cremlino gli incassi li fa soprattutto con il greggio. Nel 2019, ultimo anno normale, Mosca ha ricavato dall’export di petrolio 190 miliardi di dollari, a fronte dei 50 miliardi incassati vendendo gas. Alla Russia era sufficiente incassare 40 dollari al barile per finanziare al 100% il suo budget pubblico. Le spese per la guerra hanno notevolmente accresciuto le spese ma si capisce come, anche se fosse pienamente applicato ed efficace, un tetto a 60 dollari non sia in grado di dissanguare il Cremlino ma anzi sia sufficiente per finanziare una guerra senza fine.

L’Italia intanto è alle prese con la questione della raffineria di Priolo nel siracusano. Principale impianto italiano, da qui proviene il 20% dei carburanti consumati in Italia. Appartiene alla russa Lukoil che ora sta cercando di venderla al gruppo di private equity Argus (con un ruolo come fornitore di petrolio del colosso del trading di materie prime di origini francesi Trafigura) la cui offerta da 1,5 miliardi di euro ha superato quella della statunitense Crossbridge Energy Partners. Ma Argus è domiciliato a Cipro, tradizionale cassaforte di capitali russi, il che ha indotto il governo a operare una scrupolosa disamina della struttura societaria del possibile compratore da cui non sarebbero emersi legami con Mosca. La vendita avrebbe dovuto concludersi a fine marzo ma il governo italiano aveva chiesto altro tempo, anche per dare risposte alle preoccupazioni, non del tutto disinteressate, degli Stati Uniti. Il dossier avrebbe dovuto essere all’esame del Consiglio dei ministri già oggi ma probabilmente il via libera slitterà ancora. Tra le condizioni per l’ok è incluso l’ attento monitoraggio della provenienza del petrolio utilizzato nell’impianto.

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