L’ospedale italiano mai nato, finito nelle mani di Ugo Di Martino, aveva almeno un direttore sanitario. E’ un medico venezuelano che ha studiato a lungo in Italia, lavora per il consolato e per questo era stato coinvolto subito dall’ambasciatore Placido Vigo in quell’iniziativa che doveva essere “bellissima, altruistica”. Così era entrato nel direttivo della fondazione “animato dalle migliori intenzioni”, salvo dimettersi quando le cose sono precipitate. “Dopo tre anni resta solo questa fondazione senza soldi né sede gestita da un gruppo di persone con il nome dell’Italia ma che di italiano non ha nulla. Neppure l’appoggio delle autorità italiane”, dice chiedendo l’anonimato. Nulla sapeva dei trascorsi di Di Martino, dei verbali della Dda di Reggio Calabria che lo indicavano come braccio destro dell’ex faccendiere-latitante Aldo Micciché, legato alle ‘ndrine di Gioia Tauro. Chi ora lo sa preferisce non esporsi.

Il contesto in cui è nata la vicenda dell’ospedale italiano, culminata in una sorta di “scippo” all’Ambasciata d’Italia che lo aveva promosso, è ben descritto dall’ultimo Rapporto nazionale sui servizi di cura e sugli ospedali venezuelani, diffuso il 2 marzo scorso, tra cui devono districarsi anche 150mila emigrati dall’Italia. “In termini reali – si legge – la possibilità di non trovare una medicina di base per un’emergenza è vicina al 50%. Se guardiamo alle forniture dei reparti di emergenza, è del 70% e questo valore non è cambiato dal 2019”. Il rapporto documenta un deficit del 70% nelle forniture di sala operatoria essenziali per la chirurgia, inclusi analgesici e anestetici. Quasi il 60% degli ospedali non riceve acqua corrente. E di questo che parla il medico, quando definisce l’ospedale italiano “un’occasione sprecata”.

“La parte pubblica dell’ospedale – spiega – era legata direttamente all’attività e ai fondi per l’assistenza agli indigenti in Venezuela, che sono responsabilità del Consolato italiano, a Caracas come a Maracaibo. Il progetto rispondeva alle necessità di assistenza gratuita di tutti gli italiani bisognosi e al tempo stesso poteva offrire a italiani e venezuelani non indigenti un servizio di cura a tariffe sociali, come fanno gli altri ospedali italiani nel mondo. Così la parte a pagamento avrebbe anche contribuito all’altra e l’ospedale sarebbe cresciuto nel tempo, offrendo servizi anche all’utenza venezuelana”. Fin qui l’idea, nobile, pulita. “Si è cercato a lungo una sede dove impiantare un poliambulatorio, abbiamo fatto una prima convenzione con l’Hospital San Juan de Dios, poi con la Clinica Santa Paula. Ma io sono andato via in quel periodo perché non ero d’accordo su come si stavano gestendo questa attività”.

Quando gli si fa il nome Di Martino ha un momento di incertezza. “Dice il presidente attuale dell’ospedale italiano Ugo Di Martino o quello prima che era il figlio Vincenzo Di Martino?”. Il direttivo cambiato più volte, insieme allo statuto che estromette ambasciata e consolato, cancella l’assemblea dei soci e concentra tutto il potere nelle mani di pochi è una storia familiare. “Non so molto di politica ma i Di Martino facevano parte del Comites e questo li rendeva i referenti naturali per l’operazione ospedale che doveva coinvolgere la comunità locale a partire dai suoi rappresentanti. Le quote associative del resto dovevano servire a finanziare i servizi e andavano cercate tra i connazionali. Così si è fatto con l’ospedale italiano in Argentina o in Cile. Solo che in Venezuela non ha funzionato. Ho letto il recente comunicato con cui l’Ambasciata si dissocia dall’ospedale e lamenta che sono state fatte cose illegali. Ecco, io la trovo incredibile questa cosa: sono venezuelano e ho studiato in Italia, mi sembrava una cosa bellissima migliorare le condizioni sanitarie per tutti. Ora ripeto, resta quella fondazione che fa convenzioni con le cliniche private. Ma di italiano e del progetto originario non ha nulla”.

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