L’autonomia strategica ha dei costi economici e politici. E in questo momento l’Europa non sembra poterli sostenere. È così che nasce l’imbarazzo creato dalle dichiarazioni di Emmanuel Macron riguardo alla necessità dell’Ue di aumentare il proprio livello di autonomia e “non essere vassalla degli Stati Uniti“. Le parole, poi ridimensionate direttamente dall’Eliseo precisando che “per la Francia non c’è equidistanza tra Cina e Usa“, ribadiscono quella che è una visione dell’Europa che il presidente francese non ha mai nascosto: più indipendente dall’economia e soprattutto dal posizionamento internazionale degli Stati Uniti, che non debba più essere tirata per la giacca dall’avventurismo di Washington, che si tratti di campagne militari o guerre commerciali, e che possa, in conseguenza di questo, avere una voce propria e di peso sui tavoli internazionali. Un progetto che, però, la guerra in Ucraina non ha fatto che frenare, dimostrandone l’attuale infattibilità: il conflitto, che piaccia o meno, viene combattuto proprio in territorio europeo e senza un’esercito comune Bruxelles non può fare altro che rimanere, in maniera più o meno marcata, sotto il grande ombrello americano.

La Francia è il Paese europeo dove il concetto di autonomia strategica trova storicamente il suo humus. Un principio che si sviluppa fin dagli Anni 90, soprattutto declinato all’ambito della Difesa, che a livello europeo ha assunto una visione più ampia, non limitata all’ambito militare. È la Revue stratégique de défense et de sécurité nationale (il Rapporto strategico della Difesa e della Sicurezza nazionale) del 2017, con Macron già in carica come presidente, che conferisce a questo principio una visione allargata, comunitaria e riattualizza il tema della necessità di un esercito comune europeo. Un “rafforzamento pragmatico” che tenda alla creazione di una potenza europea, nei piani di Parigi, a trazione franco-tedesca. Una potenza che accresca gradualmente la propria indipendenza e riesca a ritagliarsi un posto al tavolo dei grandi della terra. Nel 2018 sarà proprio Macron a ribadire questo concetto nel corso della conferenza annuale degli ambasciatori.

Senza tornare troppo indietro nel tempo, basta rileggere le dichiarazioni del capo dell’Eliseo nelle settimane a cavallo dell’invasione russa dell’Ucraina per rintracciare questa sua convinzione. Fu lui a proporsi come mediatore europeo per mantenere un dialogo col capo del Cremlino ed evitare l’entrata dei carri armati di Mosca in territorio ucraino. Furono diversi i contatti, telefonici e di persona, che ebbe con Putin, senza però ottenere alcun successo, sia per la riluttanza del presidente russo che per la mancanza di volontà di Washington di scendere a patti con lui. Fu sempre il capo dell’Eliseo a dichiarare che alla fine della guerra la Russia non doveva essere umiliata, ben consapevole che un concorrente al confine si può sempre dialogare, con un nemico giurato no. E fu sempre Macron a mettersi a capo del trio di Paesi europei, con Germania e Italia, che inviarono Mario Draghi a dialogare alla Casa Bianca con Joe Biden per chiedere un approccio dell’alleanza più improntato alla diplomazia e meno al confronto militare. Appello, anche quello, caduto nel nulla. A questo va aggiunto che il presidente francese, oggi, non può più contare nemmeno sul quel feeling creato con il governo Draghi: adesso a Palazzo Chigi c’è l’esecutivo Meloni che, fino ad oggi, ha dimostrato pieno allineamento con la Casa Bianca.

È in questo contesto che devono essere lette le dichiarazioni di Macron a Politico: rappresentano la sua visione ideale che lo stesso Eliseo, come si legge in calce all’intervista, ha poi rivisto in fase di correzione di bozze. Il suo pensiero è chiaro, ma ciò che è altrettanto evidente è la sua irrealizzabilità, almeno per il momento. L’Ue pensata da Macron vuole staccarsi, almeno in parte, dagli Stati Uniti, trasformando quella che in alcuni casi è una dipendenza in una alleanza il più possibile alla pari. Ma dall’altra parte c’è un conflitto, quello in Ucraina, che si combatte proprio in Europa, come non succedeva dalle guerre nella ex-Jugoslavia degli Anni 90, e senza un esercito comune europeo il Vecchio Continente non può ambire ad alcuna rilevanza ai tavoli negoziali. Senza dimenticare la necessità di rimpiazzare Mosca nell’interscambio di beni e risorse primarie in seguito alle sanzioni. Al contrario: ora più che mai ha bisogno dell’ombrello Nato e Usa. Ma questo scudo protettivo ha un prezzo: dall’innalzamento della spesa militare fino alla soglia del 2% del Pil, fino all’allineamento con gli Usa su altri dossier di politica internazionale. Ed è qui che entra in gioco la questione di Taiwan, sulla quale è in corso il vero scontro tra Stati Uniti e Cina. Quando gli è stato chiesto se è nell’interesse europeo accelerare una crisi su Taiwan, il presidente ha infatti risposto che “la cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare seguaci di questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva cinese”. Ma al momento Bruxelles non sembra avere la forza di opporsi al volere di Washington.

In realtà, le istituzioni europee non sembrano averne nemmeno la volontà. Non a caso, fu proprio la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, all’inizio di marzo, a recarsi a Washington da Joe Biden per ribadire il pieno appoggio dell’Unione europea nella lotta contro la Cina. Nel comunicato congiunto, i due leader hanno infatti ribadito la necessità di rafforzare la “sicurezza economica e nazionale”. A dimostrazione che anche l’Ue vuole progressivamente svincolarsi dal Dragone, la presidente ha portato nello Studio Ovale la decisione dei Paesi Bassi, subito dopo quella del Giappone, di bloccare l’export verso Pechino di tecnologie per la produzione di microchip. Una vittoria per Biden che da mesi stava cercando di convincere gli alleati a compiere questo passo decisivo. Una presa di posizione che fece però infuriare diverse cancellerie europee, con Francia e Germania in testa, tanto che cinque giorni dopo toccò al presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, riequilibrare il tutto con le stesse parole oggi usate dall’Eliseo per ammorbidire le parole di Macron: “Non c’è equidistanza tra Usa e Cina, siamo un alleato fedele dei primi. Nel frattempo, la Cina è una realtà, un soggetto importante. Non possiamo ignorarla”.

Twitter: @GianniRosini

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