Gli avvisi alle persone offese sono stati recapitati ai genitori delle piccole vittime dell’infezione da Citrobacter alla vigilia di Pasqua. Il procuratore aggiunto di Verona, Bruno Bruni, per conto del sostituto Maria Diletta Schiaffino che ha condotto l’inchiesta, le ha informate che per otto casi non ci sono elementi tali da sostenere l’accusa nei confronti dei sanitari indagati. Così è stata chiesta l’archiviazione, assegnando un mese di tempo agli interessati per effettuare l’accesso agli atti ed eventualmente proporre impugnazione davanti al gip, con una ricorso motivato.

La decisione della Procura era attesa, dopo che una perizia ha accertato ipotesi di responsabilità soltanto in due dei casi contestati. Ma si è trattato comunque di una doccia fredda per i genitori dei neonati morti o rimasti cerebrolesi. Francesca Frezza, la coraggiosa mamma di Nina che ha presentato le prime denunce pubbliche, commenta con sconforto: “Lo avevamo capito che sarebbe arrivata la richiesta di archiviazione per molti casi. Non accusiamo i magistrati, ma ci domandiamo se sia corretta la perizia che ha suddiviso in tre periodi diversi le infezioni contratte nel reparto di terapia intensiva neonatale e pediatrica dell’ospedale di Borgo Trento. Secondo noi non lo è. È troppo comodo affermare che solo nell’ultimo periodo vi siano state negligenze. E gli altri piccoli morti o rimasti lesi in precedenza? Come si può sostenere che non vi siano colpe?”.

I quattro bambini morti sono Nina, Leonardo, Elizabeth e Alice. Il citrobacter era annidato in un rubinetto dell’acqua e quindi era passato nei biberon utilizzati dal personale per allattare i neonati. Altri sei bimbi sono sopravvissuti restando pesantemente menomati: si tratta di Davide, Maria, Jacopo, Barbara, Fares e Benedetta. Le ipotesi di reato contestate sono, a vario titolo, di omicidio colposo, lesioni colpose gravi e gravissime in ambito sanitario. Sono coinvolti nell’inchiesta Paolo Biban, ex direttore della Pediatria, Francesco Cobello, ex direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria, Chiara Bovo, ex direttrice sanitario, Giovanna Ghirlanda, direttrice medico ospedaliero, Evelina Tacconelli, direttrice di Malattie infettive, Giuliana Lo Cascio, ex direttrice di microbiologia e Stefano Tardivo, risk manager dell’azienda ospedaliera.

Della vicenda si era occupata anche la Regione Veneto, con una indagine interna, che era arrivata a conclusioni severe sulla mancata individuazione della causa di quella che si può definire una vera epidemia. Anche il ministero della Salute aveva mandato i propri ispettori. Gli atti erano finiti nel fascicolo d’inchiesta. Decisiva è stata la perizia ordinata dal pm, che ora viene contestata dalle parti offese. Sei dei sette sanitari sarebbero imputabili solo per due casi rientranti nella terza fase della diffusione del batterio che crea gravi lesioni cerebrali. Si tratta del periodo che va dal 22 febbraio al 30 maggio 2020 durante il quale non vi furono riunioni del Comitato infezioni ospedaliero e della commissione multidisciplinare ospedaliera. Inoltre non vi sarebbe stata alcuna sorveglianza attiva o di monitoraggio ambientale. In quel periodo si verificarono la morte di un neonato e una grave malformazione, mentre altri due piccoli vennero infettati. Erano i mesi in cui scoppiò il Covid e c’è da prevedere che l’argomento sarà utilizzato dai difensori per spiegare che la struttura ospedaliera era travolta dall’emergenza.

Nessuna giustizia, niente processo per i nostri figli? I pm vogliono archiviare la morte di tre bimbi e gli irreversibili danni che quel batterio letale ha provocato ad altri cinque? Ciò che è accaduto all’ospedale di Verona è stato tutto fuorché una tragica fatalità, qualcuno deve pagare” dice Francesca Frezza. Le archiviazioni riguardano i casi di Nina, Leonardo ed Elisabeth (deceduti) e di Davide, Maria, Jacopo, Barbara, Fares, la cui crescita psico-fisica è stata segnata in modo irreversibile. Il contagio era iniziato nel 2018, ma solo nel maggio 2020 il reparto interessato del principale punto nascite del Veneto era stato chiuso per permettere la sanificazione. I periti hanno diviso l’infezione in tre fasi: quella precoce va dal 2018 fino all’ottobre 2019), quella intermedia dall’ottobre 2019 al febbraio 2020 e quella tardiva da fine febbraio a fine maggio 2020. La loro tesi è che solo in quest’ultimo periodo si potesse evitare il contagio.

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