Difficile tirar fuori una notizia da uno degli innumerevoli convegni che si tengono a Roma, dove a vecchie cariatidi e giovani turchi della nuova destra al potere vengono offerti scranni e telecamere. Eppure, a Palazzo Giustiniani a un seminario su Guido Carli si è presentato anche Paolo Savona, presidente della Consob. Schivo e ritroso per natura, ora doppiamente, dopo che Mattarella bloccò la sua nomina a ministro dell’Economia nel governo Conte I (sarebbe stato troppo radicale). Savona è intervenuto come testimone di anni lontani. Era una giovane promessa nella covata di economisti della Banca d’Italia vicini a La Malfa e al vecchio Partito Repubblicano. Condivide un ricordo personale con una valenza economica generale: l’ex governatore della Banca d’Italia Guido Carli sarebbe, secondo lui, uno degli artefici della crisi economica globale scoppiata nell’agosto 1971, quando il presidente Usa Richard Nixon decretò la fine della convertibilità del dollaro in oro. Altre ere, ma da allora l’economia mondiale non è mai più stata la stessa.
Secondo Savona, Carli sapeva già (o meglio presentiva) che il sistema monetario internazionale stava per saltare, con gli americani che stampavano moneta a gogò per coprire i loro enormi disavanzi di bilancio. Tra la fine di marzo e l’aprile 1971 – racconta – al fine di tutelare le riserve italiane della Banca d’Italia, il governatore decise di convertire i dollari in oro. La mossa ebbe immediate conseguenze. Henry Kissinger, responsabile del Dipartimento di Stato dell’amministrazione repubblicana di Nixon, convocò il banchiere centrale italiano a Washington, senza offrire spiegazioni. Il giovane Savona accompagnò Carli in un faticoso – e fallimentare – viaggio nella capitale americana, al punto che il n.1 di Bankitalia, nonostante tre ore di anticamera, non fu mai ricevuto. La sera stessa prese il primo aereo e tornò a Roma. E il giorno dopo inviò a Kissinger una lettera in cui statuiva la rinuncia dell’Italia alla convertibilità del dollaro in oro.
Questo viaggio è un episodio inedito: non è mai stato raccontato prima. “Però nella storia della Banca d’Italia è un passaggio molto importante” sottolinea il presidente della Consob. Era già iniziata, insomma, la stagione del multipolarismo senza più una valuta internazionale di riferimento ma molte monete (adesso c’è vistosamente la Cina) in competizione tra loro. “Bisognerebbe stare seduti intorno a un tavolo invece di mandare bombe” conclude Savona.
All’incontro organizzato dall’Associazione Guido Carli alla Sala Zuccari del Senato ha partecipato anche un altro ex big della Banca d’Italia, Pierluigi Ciocca, economista per molti anni vice direttore generale. Ciocca si è barcamenato tra passato e presente: “La Cina ha già ceduto 200 miliardi del suo portafoglio di 1,2 trilioni di titoli di Stato americani. Se li vendesse tutti – anche se a Pechino non conviene – chissà cosa ne avrebbe scritto Bancor”. Tra geopolitica e finanza globale, l’osservazione mette in risalto il tema del convegno, che è dedicato proprio a Bancor. Termine dalla doppia accezione. Bancor era il nome scelto da John Maynard Keynes per la moneta pensata per sostituire il dollaro, l’economista britannico lo propose nel ’44 a Bretton Woods negli incontri per riformare il sistema monetario. Bancor era anche lo pseudonimo scelto da Guido Carli e Eugenio Scalfari per firmare una rubrica uscita sull’Espresso dal maggio 1971 al 1973 (gli anni di piombo, scioperi, stagnazione, alta inflazione, shock petrolifero). Oggi avremmo dei ‘retroscena’ con fonti non controllabili – ha detto Antonella Rampino, che moderava l’incontro – ma quegli articoli di economia e politica all’epoca lasciavano il segno, erano autorevoli, anche se nessuno conosceva l’identità degli autori.
Parecchi anni dopo, in una pagina della sua autobiografia, Scalfari parlò di Bancor. “La posizione di Carli e della Banca d’Italia furono punti di riferimento costanti dell’Espresso, che volle essere difensore dell’interesse generale contro le manomissioni corporative, difensore del mercato, e del libero accesso ad esso, contro gli sbarramenti di ogni genere, e della stabilità della moneta contro gli assalti dei gruppi svalutazionistici e inflazionistici. A Guido Carli, d’altra parte, quell’alleanza tornava particolarmente gradita poiché era stata fino ad allora regola costante che la politica della Banca centrale fosse sostenuta dalla destra e osteggiata dalla sinistra, per un gioco delle parti dovuto assai più all’automatismo della tradizione che alla consapevolezza degli interessi reali. L’alleanza tra Guido Carli e noi dell’Espresso – concludeva Scalfari – fu la prima rottura di quella sciocca regola, che giovò non poco alla Banca d’Italia per accrescere la sua centralità nel panorama delle forze in campo, e per radicare nel concreto il nostro liberalismo radicale”.
Di quel clima politico e sociale Ciocca appare nostalgico. Notando “con amarezza” che “l’informazione economica di oggi è meno viva, forse meno vera, di quella di allora”, dei venti articoli firmati Bancor pubblicati dall’Espresso l’ex vicedirettore di Bankitalia ricorda il primo uscito il 30 maggio 1971 con il titolo preveggente “Tempesta in arrivo” (come conferma l’episodio raccontato da Savona). Il fatto straordinario è che poche settimane dopo, il 15 agosto, “tre persone, tre persone soltanto, a Washington, in assoluto segreto avrebbero decretato l’eutanasia del sistema monetario ponendo fine al gold exchange standard” cioè la convertibilità del dollaro in oro. A distruggere i sogni anti-dollaro di JMK furono Harry Dexter White (padre del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale), il duro ministro del Tesoro Usa John Connally (ex governatore del Texas, era a Dallas nell’auto su cui fu assassinato JFK) e l’inquilino della Casa Bianca, Richard Nixon. Così, con la storica decisione sulla non-convertibilità del greenback in oro, Bancor, la moneta di conto interbancaria inventata da Keynes non nacque mai. Il consensus degli economisti ritiene che il nuovo sistema monetario consentì poi trenta anni di progresso più rapido ed equilibrato dell’economia globale. Anche se l’élite si guarda bene dal parlare degli eccessi della finanziarizzazione, dei guasti dell’iper liberismo e delle periodiche crisi di un sistema bancocentrico che penalizza le popolazioni e privilegia i pochi ultraricchi.
Ciocca comunque ha carattere, studi e storia personale che gli consentono di non nascondere il suo antiamericanismo doc, non per partito preso, in base a razionali argomentazioni di politica economica. La sua stroncatura di Washington non potrebbe essere più netta. Negli Stati Uniti – spiega l’economista – la dinamica della produttività aveva sfiorato il 2 per cento dal 1920 al 1970, dopo di allora è scesa sino allo 0,3-0,5 per cento. “Quindi l’economia Usa ha cessato di essere competitiva e da quel fatidico 1971 l’America ha sperimentato, anno dopo anno, senza soluzione di continuità, disavanzi crescenti della bilancia dei pagamenti di parte corrente, fino a sfiorare l’anno scorso 1 trilione di dollari e accumulando una posizione debitoria netta negativa verso l’estero che supera ormai i 18 trilioni di dollari, pari al 70-75 percento del Pil americano”. Come principali creditori gli Stati Uniti hanno due paesi sconfitti, la Germania e il Giappone, e in misura non minore lo sfidante, cioè la Cina. “Quindi questa grande nazione per oltre mezzo secolo è vissuta sopra le proprie risorse e sulle spalle del resto del mondo” afferma l’ex vicedirettore di Palazzo Koch.
Corollario? La Federal Reserve per troppi anni ha stampato moneta inondando il mercato finanziario di dollari e producendo inflazione. Il famoso (o famigerato) Quantitative Easing inventato dalla Fed ed esportato in Europa da Mario Draghi quando era al vertice Bce. “Sia per gli eccessi della spesa pubblica che per il lassismo di una banca centrale asservita all’esecutivo, dagli inizi del 2021 gli Usa hanno generato una inflazione che si è estesa internazionalmente ma solo dal marzo 2022, alimentata anche dal modo in cui è stata condotta la risposta, sotto il profilo economico, all’aggressione russa all’Ucraina. L’America ambisce a restare il paese leader – ha detto Ciocca – sebbene sia a corto di mezzi propri, posso dire volgarmente… a corto di soldi? Ciò ha potenziali riflessi economici, geopolitici e militari per me inimmaginabili”. E in replica a Federico Carli, organizzatore del convegno su Bancor e presidente dell’Associazione Guido Carli dedicata al nonno che gli chiedeva se condivide il giudizio negativo sulla Fed e sulla Bce di Lord Mervyn King, ex governatore della Banca d’Inghilterra: “A questa domanda non rispondo per prudenza. Perché sono davvero talmente critico da pensare che forse mi fa velo una negatività non analitica, e quindi mi astengo. Penso però che la Banca d’Italia di Carli e di Baffi, insomma l’Istituto che abbiamo conosciuto nel dopoguerra, tali cazzate (testuale) non le avrebbe mai fatte”.