“Sono state le ragazze della King’s Road a inventare la mini. Io stavo facendo abiti semplici e giovanili con cui era possibile muoversi, con cui si poteva correre e saltare e li avrei realizzati della lunghezza voluta dalla clientela. Li indossavo molto corti ma la clientela diceva ‘più corti, più corti”, scriveva Mary Quant ricordando la via di Londra dove sorgeva la sua prima boutique. La morte a 93 anni di Mary Quant, l’inventrice della minigonna, è un evento che fa sfogliare l’album dei ricordi. Raccontare la storia di una stilista che ha lasciato un segno fortissimo nella storia della moda significa raccontare anche di un simbolo dell’emancipazione femminile. Lei, inglese, ha creato negli anni ’60 l’indumento femminile più rivoluzionario del ’900, dopo i pantaloni. Da indossare con stivali e collant, con giacche e camicette, di tessuto o di pelle, di jeans o di velluto. Accusata di indecenza, adorata per la sua evocazione di libertà, associata ai grandi concerti rock dell’epoca dei Beatles o alla rabbiosa espressione del punk in abbinamento con anfibi e calze a rete, la minigonna è giunta fino a noi attraverso le generazioni.
Chi era Mary Quant? Nata nel 1930 a Blackheat, partita come designer autodidatta a Londra, arriva alla nomina di Cavaliere della Corona, onorificenza ricevuta dalle mani di Elisabetta (monarca sempre sensibile ai cambiamenti della società) nel 1966, un anno dopo i Beatles. La sua intuizione-invenzione si impose in tutto il mondo con una velocità straordinaria. Divenne uno dei suggelli dell’epoca. Come oggi lo sono i tatuaggi. Sì, parliamo della mini skirt sforbiciata due pollici sopra il ginocchio. Destinati poi a diventare ancora meno e la gonna ad accorciarsi ancora di più rispetto agli standard. Fino a quattro pollici: 10 centimetri. Una creazione destinata a sovvertire il rigido formalismo degli anni Cinquanta, ma anche ad anticipare gli scossoni dei Sessanta. Un grande successo ma anche una valanga di critiche, a volte di inusitata violenza. Mary, che lo volesse o meno, era diventata la paladina di una ribellione destinata ad affermarsi nella Swinging London dei Sixties. Lei diceva: “Le vere creatrici della minigonna sono le ragazze che si vedono per strada”.
In realtà era nato tutto, più che da spinte ribellistiche, da un gran desiderio di praticità. La minigonna era facile da indossare, ci si muoveva agevolmente, era agile e giovane. Una generazione che voleva differenziarsi dal paludamento di quelle precedenti, delle mamme e delle nonne, la adottò senza nemmeno pensarci un attimo. Era nato tutto da una corsa dietro un autobus. Un mezzo che Mary aveva rischiato di perdere, intralciata e rallentata nei movimenti da una gonna troppo formale, che le impedica di correre. Quando intuì che le coetanee cercavano proprio quello, comodità con un pizzico di malizia, inventò altri capi: miniabiti in jersey, antipioggia in pvc, hotpants, collant super colorati, ankle boots di plastica. Il giorno che s’infilò per gioco il pullover di un bambino di 8 anni, ne derivò l’idea per i famosi skinny-rib sweaters. Mary era la figlia di due docenti dell’Università e questo era il destino che la famiglia aveva già scelto per lei. Ma neanche a parlarne: Mary è un animo indipendente e ribelle e a 16 anni va a Londra a vivere da sola. Incontra Alexander Plunket Greene, rampollo di una nobile famiglia, che diventerà suo marito. Trascorrono una vita bohémien. Nel 1955 comprano una casa. Sempre entusiasti, nel fondo aprono un ristorante e al primo piano una boutique. Si chiama Bazaar e diventa preso un marchio storico della King’s Road.
Prima la Quant compra vestiti all’ingrosso i vestiti da proporre ai clienti. Ma quello stile, quella moda, non le piacciono. Decide di far tutto da sé. E’ una autodidatta che si affina nei corsi serali. Segue una nuova idea, la sua, di femminilità. Quel che vende nel negozio lo utilizza per comprare nuovi tessuti. Lavora anche durante la notte.
L’impegno e i sacrifici vengono ricompensati. Il negozio offre pezzi unici e a prezzo accessibile. Ma è anche un’esperienza nuova: si bevono drink, si ascolta musica, ci si può fermare a parlare fino a notte perché l’ora di abbassare le serrande sembra non arrivare mai. Arrivano artisti, attori, tanti giovani entusiasti delle novità.
Apre un secondo negozio, stavolta nella Brompton Road a Knightsbridge. Ma Mary non si ferma mai. Nel 1963 è sua l’idea della Ginger Group line. E’ una linea economica, alla portata di tutte le tasche. Inizia la conquista degli Stati Uniti. E poi nel ’66 arrivano i suoi cosmetici e l’anno successivo le sue calzature. E dopo esser divenuta Cavaliere della Corona, nel 2014 sarà anche Dame Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico. Per i suoi servigi alla moda britannica. E a tutto il Paese. Ma la star delle sue intuizioni è una sola: la minigonna. In diversi paesi, a partire dagli anni ’70, arriva a vestire persino le uniformi del personale femminile di molte compagnie aeree. Le top model la indossano sulle passerelle senza imbarazzo alcuno. La prima è Twiggy (stecchino): balza sulle copertine delle più importanti riviste patinate di moda con la sua magrezza adolescenziale svelata da quel capo così striminzito. Diventa l’immagine stessa della minigonna di Mary Quant. C’è anche Jean Shrimpton, supermodella britannica soprannominata ‘the Shrimp’ (il gamberetto). Nel 1965 è proprio un suo abito troppo corto, indossato durante un evento pubblico ad attirare su di lei l’attenzione dei media.
E in Italia? Una donna su tutte: non possiamo immaginare la minigonna senza vederla indossata da Patty Pravo al Piper di Roma. Raffinata, androgina, con le sue ciglia lunghe e la chioma bionda, canta indossando abitini short e stivali alti. La sensualità della sua voce, il carisma dello stile: la mini ne esalta il carisma. Oggi, proposta dagli stilisti con strass, applicazioni floreali, pizzi e ricami, oppure in jeans strappato e in ecopelle, la minigonna è un classico. Ma la sua storia no, è anticonformista come lo era Mary Quant. Stupisce la Regina Elisabetta non l’abbia indossata.