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Russia, con l’omicidio Tatarsky la storia va in loop: così il terrorismo interno rischia di portare a un regime di tolleranza zero

L’omicidio a San Pietroburgo del corrispondente di guerra filogovernativo Vladlen Tatarsky (vero nome Maxim Fomin), di cui le autorità russe hanno accusato una certa Daria Trepova, non poteva che ricordare ai russi un’ironia della storia. Non lontano dal caffè dove Trepova ha consegnato la bomba a Tatarsky, nel 1878 la famosa rivoluzionaria Vera Zasulič fece un attentato al sindaco di San Pietroburgo, il generale Fyodor Trepov, ferendolo con una rivoltella. Come ha scritto il politologo russo Vladimir Pastukhov, “la storia russa va in loop. La legalizzazione del terrorismo russo iniziò esattamente 145 anni fa con l’attentato di Zasulič al generale Trepov. Adesso la nuova ‘rivoluzionaria’ Trepova ha ucciso il corrispondente di guerra Fomin. Si animano proprio tutti i fantasmi“.

Terrorismo rivoluzionario – Anche Alexander Etkind, ricercatore di storia culturale della Russia, considera il terrorismo rivoluzionario russo della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo come l’analogia storica più vicina. Allora i movimenti politici radicali che lottavano per la libertà dei contadini e per i diritti del popolo hanno sistematicamente usato la violenza contro i rappresentanti del governo zarista per quasi mezzo secolo cercando di realizzare una rivoluzione sociale nell’Impero russo. “La sfera pubblica era chiusa all’espressione dell’opposizione e il malcontento cresceva per anni, decenni, generazioni – racconta Etkind a Ilfattoquotidiano.it – E questo ha portato a un’esplosione di violenza interna”.

L’epoca del terrorismo rivoluzionario iniziò con un tentativo di assassinio dell’imperatore Alessandro II nel 1866. Seguirono numerosi tentativi di omicidio falliti e uno riuscito: l’imperatore morì a causa di un atto terroristico organizzato dalla squadra rivoluzionaria segreta Narodnaja volja (Volontà/Libertà del popolo). I suoi partecipanti speravano, con l’aiuto del terrorismo, di promuovere cambiamenti politici e tentarono persino di uccidere il successore Alessandro III. Ma il terrore politico in Russia, sebbene individuale, aveva una portata enorme: furono uccisi non solo gli zar, ma anche poliziotti, pubblici ministeri, governatori. Ad esempio, Zasulič, appassionata dalle idee populiste, ha deciso di vendicarsi del sindaco conservatore Trepov per il fatto che quest’ultimo ordinò di fustigare uno studente che non si era tolto il cappello davanti a lui, nonostante il Paese avesse già vietato le punizioni corporali.

“Era proprio il terrorismo rivoluzionario, cioè il terrorismo che aveva come obiettivo l’avvicinarsi di una rivoluzione. Sotto l’influenza di queste uccisioni mirate, il sistema sarebbe dovuto entrare in uno stato di caos“, spiega la politologa russa Ekaterina Shulman nella sua trasmissione sul canale tedesco Bild. Tuttavia, alla fine, questo caos si è trasformato in un buon vecchio giro di vite e nella lotta contro il nemico interno. Proprio come oggi, per scoprire le cellule clandestine dei terroristi, la polizia nell’Impero russo iniziò a infiltrarci degli agenti e a organizzare provocazioni che però andarono fuori controllo. La vendetta reciproca alimentava la violenza all’interno del Paese che, a sua volta, portava all’erosione del monopolio statuale della violenza legale.

Inoltre, i poliziotti approfittavano della situazione per eliminare i propri colleghi, ad esempio, per ottenere una promozione. Avveniva una specie di fusione tra i rivoluzionari e le forze dell’ordine. “Il terrorismo individuale non ha destabilizzato l’amministrazione zarista”, ritiene Shulman, “ma ha portato quella stessa amministrazione alla corruzione, che ha iniziato ad agire con metodi illegali e clandestini, fondendosi con chi doveva combattere. Questo ha portato a una situazione dove la legge non vale per nessuno, in cui la Russia cadde all’inizio del XX secolo“. “Le azioni della polizia diventavano sempre più simili a quelle terroristi stessi“, afferma Etkind. “Ma se questo meccanismo si protrae senza sfociare in una rivoluzione (perché l’unico modo in cui può avere fine), allora assume queste orrende forme ibride che credo stia pendendo anche oggi”.

Una minaccia per il regime – Oggi, secondo Etkind, la situazione in Russia si aggrava ogni giorno, e il terrorismo interno ne è una manifestazione. Avrebbe il potenziale per indebolire il regime dall’interno e seminare dubbi nelle fila dei sostenitori del Cremlino, visto che gli attacchi terroristici all’interno del Paese sono uno dei pochi fenomeni che provocano malcontento e critiche nei circoli di propagandisti e “patrioti”. “Questa è una minaccia per il regime, senza dubbio”, ritiene Etkind. L’esplosione sul ponte di Crimea, i fatti avvenuti a Bryansk, l’omicidio di Daria Dugina e Vladlen Tatarsky, incendi dolosi degli uffici di arruolamento ed esplosioni sui binari ferroviari: tutti questi episodi evidenziano l’incompetenza dell’attuale governo, incapace prevenirli e anticiparli, non solo al fronte ma anche in Russia.

“È probabile che la violenza interna aumenti”, dice lo storico. “Sia da parte di chi non vuole la guerra sia da quelli che vorrebbero un’offensiva russa più dura e spietata. Il popolo e le autorità andranno via via nel panico e commetteranno sempre più nuovi errori”.

Un’altra importante conseguenza degli attentati terroristici interni è la sensazione che la guerra si stia rivelando un boomerang in Russia: ormai gli echi della lontana “operazione speciale” giungono persino a San Pietroburgo. La popolazione, la cui situazione economica si sta già deteriorando, rischia di perdere anche il senso di sicurezza. “In casi come questo, è tutta una questione di dinamica: accadranno più frequentemente e con figure più importanti – o rimarrà un caso isolato?” spiega Etkind. Lui stesso considera lo scenario più probabile un’ondata del terrorismo interno: “Le persone che hanno acquisito un’esperienza di combattimento traumatica stanno tornando nelle capitali russe. Il governo sta evidentemente diventando meno competente e sempre più nervoso. La disponibilità di armi in tempo di guerra aumenta di giorno in giorno. Tutto ciò aumenta il pericolo del terrorismo interno che, prima o poi in un modo o nell’altro, porterà alla guerra civile e al cambio di regime”.

Le Grandi purghe – Chi c’era dietro l’omicidio di Tatarsky diventerà chiaro nel tempo, ma per ora sembra che letteralmente tutti possano trarne vantaggio. I provocatori ucraini possono approfittare dell’eliminazione di un importante propagandista. L’opposizione, invece, ha un nuovo argomento per svegliare i russi, mentre i turbo-patrioti hanno il diritto morale di invocare ancora una volta una guerra più radicale e purghe interne. Quindi, nonostante il fatto che quasi 30 movimenti contro la guerra russi abbiano smentito l’organizzazione di questo assassinio e condannato il terrorismo come metodo di lotta politica, i canali Telegram patriottici promuovono la versione secondo cui l’attentato a Tatarsky è stato opera della clandestinità armata. Anche il capo di Wagner Yevgeny Prigozhin ha affermato che, dal suo punto di vista, qui operava un “gruppo di radicali”, che non ha nulla a che fare né con il governo russo né con quello ucraino. Nient’altro che una nuova Narodnaja volja.

Nel frattempo, le autorità russe hanno ufficialmente annunciato che l’omicidio e stato organizzato dai servizi speciali ucraini insieme alla Fondazione Anti-corruzione di Alexei Navalny. “Anche i rivoluzionari russi della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo erano continuamente sospettati di essere sostenuti, provocati o pagati dall’estero”, dice Etkind. Anche durante il periodo sovietico, l’opposizione e persone a caso venivano spesso accusate di attività terroristiche su istruzioni dei servizi segreti stranieri. Ma la cosa più importante è che, proprio come allora, è probabile che le autorità utilizzino l’incidente con Tatarsky come pretesto per inasprire ulteriormente la repressione contro i “nemici del popolo”.

Il fatto è che qualunque fossero i motivi dei terroristi politici, la storia russa ha dimostrato più volte che, di regola, portano a conseguenze direttamente opposte. Per esempio, l’assassinio di Alessandro II da parte dei rivoluzionari di Narodnaja volja ha causato un arretramento delle riforme liberali e la riduzione della libertà di parola. Gli alleati dei bolscevichi che nel 1918 uccisero l’ambasciatore tedesco volevano provocare una rottura del trattato di pace “ingiusto” con la Germania; invece i bolscevichi non solo mantennero la pace con i tedeschi, ma repressero pure gli ex alleati, instaurando definitivamente una dittatura a partito unico. Da allora la violenza si è concentrata sempre più nelle mani del nuovo governo sovietico, e questo ha portato a conseguenze molto più devastanti del terrorismo rivoluzionario individuale.

“Dopo che la violenza clandestina ha provocato una serie di rivoluzioni e una guerra civile, si è trasformata nel Terrore di stato di durata e crudeltà senza precedenti”, afferma Etkind. “Un risultato che non era, ovviamente, nelle intenzioni di chi l’aveva promossa. Avevano piani completamente diversi, erano idealisti, difendevano la comunità contadina, la giustizia, il popolo russo”. La stessa Vera Zasulič non accettò categoricamente il colpo di stato bolscevico e quasi subito condannò il terrore come metodo di lotta politica.

Ma nel 1934, sempre a San Pietroburgo fu ucciso un leader di alto rango del partito comunista, Sergei Kirov. I motivi dell’omicidio rimasero poco chiari, ma per Stalin quello che accadde sembrò una prova del malcontento maturato nel partito e nel Paese. Fu proprio dopo l’assassinio di Kirov che i bolscevichi lanciarono le Grandi purghe, o il Grande Terrore, a famigerata ondata di repressioni staliniste, quando nel periodo dal 1936 al 1938 furono condannate più di 1,5 milioni di persone, di cui circa 700mila furono fucilati.

Il Grande Terrore, che ha schiacciato i resti dell’opposizione politica e centinaia di migliaia di persone innocenti, è diventato possibile proprio con il pretesto di combattere i “nemici del popolo” e i “succhiasangue controrivoluzionari”. Oggi, come scrive Vladimir Pastukhov, “c’è un’enorme tentazione di usare l’assassinio di Tatarsky come pretesto per una forte escalation di pressione sull’opposizione e per passare a rappresaglie fisiche contro di essa (e qui le mani prudevano per tanto tempo). Chi l’ha ucciso, chi l’ha ordinato, tutto ciò perde ogni significato perché il fatto stesso dell’assassinio sarà sempre interpretato dalle autorità nel modo giusto“.

Propagandisti e funzionari, compreso l’attuale sindaco di San Pietroburgo, hanno già minacciato l’astratta organizzazione clandestina anti-guerra con rappresaglie spietate. “Deve essere attivato un regime di tolleranza zero per i succhiasangue all’interno della Russia”, chiede, ad esempio, Yegor Kholmogorov, attivista conservatore e collaboratore di Russia Today. Sullo sfondo di queste minacce, il progetto Kovcheg (L’Arca) lanciato dal Comitato Russo Anti-guerra per aiutare gli emigranti che hanno lasciato la Russia a causa del rischio di persecuzione, ha rivolto un avvertimento ai russi: “L’esplosione di San Pietroburgo servirà molto probabilmente per allargare la cerchia dei perseguitati“. Il progetto invita coloro che hanno donato denaro alla FBK, partecipato alle proteste, scritto post contro la guerra sui social network o in qualsiasi altro modo attirato l’attenzione della polizia sulla loro posizione civica, a “pensare se è sicuro rimanere in Russia”.