A Francesca Cavallin piacciono le sfide. Più impegnative sono, più si diverte. Soprattutto quando deve affrontare con i suoi personaggi temi complessi, come il lato meno edulcorato e solare della maternità. Oltre il suo aspetto rassicurante c’è di più e lo dimostrerà in Luce dei tuoi occhi 2, la serie di Canale 5 con Anna Valle e Giuseppe Zeno al via da mercoledì 12 aprile, dove entra a gamba tesa rivelando un segreto che scombinerà totalmente la trama. “È un’antagonista in grande stile, di quelle a tratti respingenti”, anticipa a FqMagazine in un’intervista a tutto campo sui suoi vent’anni di carriera, tra grandi successi, un’occasione mancata e il lato feroce dei social.
Francesca, dica la verità: si è stufata di essere il volto rassicurante della serialità italiana.
(ride) Lo sono stata soprattutto all’inizio e poi con Bianca di Un medico in famiglia, emblema del personaggio accogliente, caldo e solare. Il tempo passa e sono arrivati tanti personaggi, anche molto sfaccettati.
Sono quelli che sognava all’inizio della carriera?
Sì, perché ti danno possibilità di rovistare nelle parti più scure di te. Hai la licenza di tirare fuori, frequentare ed esercitare lati che nemmeno sai di avere o che tieni ben nascosti. Avere a che fare con le proprie vergogne è tosto, ma farlo senza il giudizio – dietro un personaggio – è un’altra cosa.
L’autoanalisi è un terreno che le appartiene?
Parto riflessiva, sin da piccola, mi piace indagare su me stessa: spero di continuare a conoscermi e di continuare a stupirmi analizzandomi e scoprendo di me cose che non sapevo. Ma, col tempo, ho imparato a coltivare la leggerezza. Solo con gli occhi e il cuore ben aperti vale la pena vivere.
In Luce dei tuoi occhi 2 interpreta Petra Novak, donna guerriera, affascinante e ricchissima, con un segreto da custodire. Tradotto: arriva e porta scompiglio.
Entrare in punta di piedi non mi appartiene: si ricorda cosa combinai in Un medico in famiglia? A distanza di anni ci sono ventenni che mi fermano e mi dicono: “Siamo cresciuti con te”. E poi le sfide non mi spaventano, anzi, mi galvanizzano. Petra non è la classica virago ma una donna costretta dalla vita ad avere relazioni muscolari: ha una corazza spessa, è respingente, ma il pubblico capirà che molto dipende dai segreti che nasconde.
È l’antagonista che finisce per piacere a tutti?
Non posso anticipare nulla se non che ha molte sfumature e tanti vulnus. Scoprendo un po’ alla volta l’origine del suo dolore che innesca una cattiveria sottile, ho avuto l’occasione di indagare un tema che mi tocca molto: il lato meno solare e edulcorato della maternità.
Ossia?
La domanda di fondo è: fin dove una madre si può spingere per proteggere suo figlio? Da mamma, è un tema che sento perché fa emergere la parte istintiva di una donna, quella che ha a che fare con l’istinto animalesco. Noi viviamo un retaggio, anche iconografico, che ci spinge a ragionare per preconcetti ma è sempre più importante avere un atteggiamento critico, slegandosi dai cliché imposti nei secoli dalla società e dalla religione. La maternità è un’esperienza quasi “divina” – soprattutto durante il parto – ma a tratti violenta. Non è tutto facile, naturale, gioioso: ci sono aspetti complessi e dei lati a volte angoscianti che non sappiamo come gestire È importante e salvifico parlarne: ci fa sentire meno sole.
A proposito di maternità, che impressione le ha fatto il dibattito su Enea, il neonato lasciato dalla madre nella Culla della vita alla Clinica Mangiagalli di Milano?
Mi hanno colpito il messaggio e la sincerità di questa donna. Spesso non ci sono biglietti, i bimbi vengono lasciati, punto. Portare in grembo un figlio è un’esperienza potentissima: impari a conoscere questa creatura già quando è nella tua pancia, ma spesso non hai contezza di ciò che accadrà; il parto è un momento incredibilmente intenso e poco dopo ti ritrovi tra le braccia un figlio e lì scatta l’attaccamento fisico. È un concentrato di emozioni che può spaventare o dare grande consapevolezza di sé. Per questo, trovo terribile il giudizio verso questa madre: perché salire sul pulpito e pontificare? E perché i social diventano in ogni occasione un tribunale pieno di banalità?
A lei è capito di essere giudicata sui social?
Un’estate di qualche anno fa, in Puglia, mi feci scattare una foto in una spiaggia bellissima. Ero in costume, girata di schiena e devo dire che ho la colonna vertebrale molto sporgente, tanto che per scherzo i miei figli mi chiamano “mamma dinosauro”.
Che cosa accadde?
Quella magrezza, che per altro mi contraddistingue da quando ho 14 anni, è stato scambiato per un “inno all’anoressia”. Mi scrissero commenti feroci, dicendo che lanciavo messaggi fuorvianti. In un primo momento ero addolorata, perché era come se mi avessero colpito in un punto di estrema fragilità. Ho pensato: “Ma proprio a me che ho sofferto di disturbi alimentari devono scrivere queste cattiverie?”. Quel fraintendimento mi ha turbato e risposi a muso duro. Ora non soffro più, ho capito di dover essere distaccata da certi meccanismi.
A Verissimo, nel 2022, raccontò di aver sofferto di anoressia: pesava il cibo con le mani, ha avuto problemi fisici importanti poi arrivò la bulimia che, disse, “dà l’illusione del potere sul cibo e sul tuo corpo, è una malattia difficile da estirpare dalla testa”.
Decisi di parlarne a modo mio, andando oltre la visione edulcorata rispetto a chi fa il mio mestiere: tanti ancora pensano che sia solo tutto lustrini e luccicanza, ma non è così. Ne parlo perché penso che la riflessione e il pensiero siano importanti. Sono in controtendenza: invece di urlare o imporre dei messaggi, una narrazione garbata fa passare il messaggio in maniera più profonda.
La reazione dopo quell’intervista quale fu?
Un riscontro inimmaginabile. Ancora oggi mi scrivono, mi raccontano le loro storie, ricevo commenti di grande profondità. Non sentirsi soli è già un primo passo per affrontare i disturbi alimentari.
Torniamo a Luce dei tuoi occhi: ritrova Anna Valle con cui ha girato La compagnia del cigno.
Lì ci siamo sfiorate, qui abbiamo girato scene molto intense, di grandi scontri ed è stato bello. In uno dei ciak finali, tremavamo entrambe per l’intensità del momento: non sempre succede di vivere sul set uno “stato di grazia”.
E con Giuseppe Zeno come si è trovata?
Quando eravamo entrambi molto giovani abbiamo girato Rossella, fiction di Rai1 di grande successo. L’ho ritrovato più maturo e di una simpatia ancora più disarmate: c’è stata una mattina al trucco, mentre Anna ascoltava musica rock a tutto volume, in cui mi ha fatto sfigurare delle risate e mi sono dovuta far truccare da capo.
Il prossimo anno festeggia vent’anni di carriera. Il suo primo lavoro fu la soap Vivere: il ricordo del primo giorno di set?
Ero terrorizzata, mi tremavano le gambe. Nella prima scena dovevo sostenere un esame universitario: io mi ero laureata poco prima e dunque mi sembrò tutto molto facile. Fu una partenza soft.
Tra le sue prime esperienze, ci fu Don Matteo.
Ero alle prime armi e ricordo bene l’incontro con Nino Frassica: durante una cena col cast a Roma, ho capito cos’è la genialità. Io subisco molto l’ironia sagace nelle persone, sono una sapiosexual e, per me, in un uomo l’intelligenza erotica è un aspetto fondamentale. Coltivo l’ironia, la cerco negli altri: è una chiave della felicità.
Poi arrivò Un medico in famiglia.
Entrai nella sesta stagione e la mia agente mi disse: “Devi farla, ti darà la grande popolarità e poi vogliono chiudere in bellezza”. C’era una ricchezza di scrittura, nella regia e nei costumi e andò così bene che feci altre due stagioni, fino all’ottava, con un’apparizione nella decima. Se mi chiamassero per un gran finale conclusivo? Non saprei, vorrebbe dire tentare la sorte.
C’è un no professionale di cui si è pentita?
No, ma ho subito un no che mi ha ferita. Ero stata scelta per una serie poliziesca in cui avrei dovuto essere un capo della polizia: era tutto pronto, mi avevano assegnato il ruolo ma per questioni tecniche sfumò. Peccato, forse la mia carriera e la mia immagine avrebbero imboccato una strada diversa.
Foto: Nicola Derosa