Tra critiche delle associazioni di categoria e l’esultanza della premier Giorgia Meloni, prima firmataria della proposta presentata nella scorsa legislatura, l’equo compenso per i professionisti è legge. Peccato che dalla sua applicazione resteranno esclusi 800mila lavoratori autonomi, che non sono iscritti a ordini o associazioni di categoria. Ma andiamo con ordine. Giovedì la Camera ha approvato in via definitiva – con 243 voti a favore, nessun contrario e 59 astenuti (i deputati Pd) – il testo redatto da Fratelli d’Italia e Lega che punta a riconoscere a agli autonomi il diritto a una remunerazione adeguata “alla qualità e alla quantità del lavoro svolto”. Oltre agli iscritti a un ordine, anche chi esercita una professione non regolamentata (come amministratori di condominio, revisori legali, fisioterapisti) avrà diritto a ottenere un compenso “equo”, le cui modalità di determinazione però risultano differenti per le due categorie di lavoratori. Mentre gli ordinisti dovranno basarsi sui parametri indicati nel decreto ministeriale 140 del 2012, tutti gli altri dovranno aspettare l’indicazione dei valori di riferimento da parte dell’ex Ministero dello Sviluppo economico (ora Imprese e Made in Italy), attraverso un decreto che dovrebbe essere emanato entro 60 giorni. Solo gli avvocati, il cui ordine ha fissato le tariffe a ottobre 2022, potranno contare su indici aggiornati. La legge indica poi una serie di clausole che fanno scattare la nullità del contratto tra professionista e committente.
Oltre ad accordi che non rispettano le tariffe minime, sono invalidi i contratti che attribuiscono al professionista l’onere di anticipare le spese o quelli che vietano di prevedere acconti. Nella versione definitiva della legge rimangono però una serie di aspetti molto controversi, che erano stati oggetto di forti critiche da parte delle associazioni di categoria. Il principale è che una grossa fetta del mondo delle partite Iva sarà tagliata fuori: secondo Acta, l’associazione che riunisce in modo trasversale tutti i lavoratori autonomi, si tratta di circa 700-800mila professionisti. “L’equo compenso viene previsto per gli ordinisti e per chi esercita le professioni di cui alla legge 4 del 2013, ovvero quelle per le quali esistono associazioni di categoria iscritte al registro dell’ex Ministero dello Sviluppo economico, come osteopati, massaggiatori e logopedisti” spiega al IlFattoQuotidiano.it Silvia Santilli, avvocato e membro del consiglio direttivo di Acta.
“È scorretto dire che la norma si rivolge a tutti perché c’è un esercito di partite iva che non sono iscritte a queste associazioni e non svolgono professioni riconducibili a quelle categorie, come ad esempio il mondo dell’editoria, del disegno, della grafica. Per di più sono proprio quelle categorie per le quali molto più spesso si pone il problema dell’iniquità del compenso e di forme contrattuali con grandi committenti in situazioni che sono ai limiti con il rapporto di lavoro subordinato. È proprio l’area più fragile quella che viene esclusa dalla legge sull’equo compenso”. Tra gli altri aspetti criticati, c’è il fatto che la platea dei beneficiari è molto ristretta: l’equo compenso si applica infatti solo a banche, assicurazioni, pubbliche amministrazioni e a imprese con più di 50 dipendenti o un fatturato superiore a 10 milioni di euro. Secondo una stima de Il Sole 24 Ore, i soggetti che saranno tenuti ad applicare la norma sono circa 78mila, dei quali 27mila pubbliche amministrazioni e 51mila privati. Un numero piuttosto esiguo se si pensa che, stando ai dati Inps, nel 2021 le aziende in attività erano circa 1 milione e 647mila.
Un’altra criticità riguarda il fatto che agli ordini professionali viene attribuita la facoltà di adottare sanzioni deontologiche nei confronti degli iscritti che hanno accettato una parcella inferiore a quanto ritenuto “equo”. C’è infine una disposizione della legge che rischia di limitarne l’efficacia. Si tratta dell’articolo 11, che restringe l’applicazione dell’equo compenso solo alle nuove convenzioni da stipulare, tagliando fuori quelle già in vigore. Un punto sollevato dal Consiglio Nazionale Forense (Cnf). Dopo aver elogiato la legge, definita “un passo significativo verso una maggiore tutela della dignità professionale degli avvocati”, il presidente del Cnf, Francesco Greco, sottolinea che, in questo modo, “i clienti forti non registreranno nuove convenzioni con i professionisti, e di fatto la legge sull’equo compenso potrebbe restare una norma vuota priva di applicazione”.
E mentre la premier Meloni ne celebra l’approvazione (“una legge attesa da anni” volta “a restituire dignità e giustizia a tanti professionisti a cui per troppo tempo sono state imposte condizioni economicamente inique”, ha scritto su Facebook), una parte del mondo degli autonomi ribadisce le proprie critiche. “La seconda lettura alla Camera poteva e doveva essere un’occasione per portare migliorie al testo” ha dichiarato la Presidente del CoLAP, Emiliana Alessandrucci, “ma così non è stato. È prevalsa la voglia di varare in fretta e furia una norma che rischia di essere paradossalmente dannosa per i professionisti associativi piuttosto che prediligere il confronto con le parti in causa”. Dal canto suo Santilli ricorda le proposte di Acta. “Abbiamo sempre chiesto l’introduzione di un parametro oggettivo che fosse applicabile a chiunque a prescindere dal fatto che fosse iscritto o meno a un ordine o a una qualsivoglia categoria” sottolinea l’avvocato. “Purtroppo la strada che si sta percorrendo è quella di tornare a una forma di corporativismo: la norma di legge non può limitare la tutela solo a una certa categoria. La nostra proposta prevedeva di andare a vedere, per chi non ha nessun altro riferimento, i contratti collettivi di lavoro e, in base alle mansioni effettivamente svolte, stabilire un parametro per costruire un equo compenso da riconoscere a tutti i lavoratori autonomi per come definiti dal Codice Civile e dallo Statuto del Lavoro Autonomo del 2017. Nella legge approvata manca invece una tutela universalistica”.
Positive invece le reazioni del Consiglio Nazionale degli Architetti che, per bocca del presidente Francesco Miceli, parla di “importante riconoscimento per i liberi professionisti”, e di quello dei commercialisti. “Esprimiamo il nostro pieno consenso” ha dichiarato il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Elbano de Nuccio, “su una disciplina che si pone l’obiettivo di tutelare finalmente il diritto del professionista a ricevere un compenso equo nei rapporti contrattuali che lo riguardano, specie nei casi in cui la controparte è in una posizione dominante”.