Il giovane boss di Cosa nostra, l’imprenditore rampante e il generale dei carabinieri che si occupava di rapimenti nella Milano degli anni ’70. Graviano, Silvio Berlusconi e Francesco Delfino ritratti nella stessa fotografia. È uno scatto fantomatico quello che si allunga sullo sfondo della chiusura del programma di Massimo Giletti decisa a sorpresa da La7. Complice anche il fatto che la rete di Urbano Cairo non ha fornito giustificazioni ufficiali allo stop di Non è l’Arena, sulla vicenda sono cominciate a circolare indiscrezioni di ogni tipo: dalla pubblicità, ai malumori per le trattativa tra il conduttore e la Rai, fino al costo del programma, considerato eccessivo. Tutte ipotesi non confermate nè dalla rete e neanche da Giletti, che ha invece smentito personalmente le notizie relative a fantomatiche perquisizioni subite dalla Direzione investiva antimafia. “L’Italia non è ancora pronta ad ascoltare certe verità, fa più comodo tenerle nei cassetti“, ha detto il conduttore, ricevendo il Tapiro d’Oro di Striscia la Notizia, ventilando dunque l’ipotesi di censura ai suoi danni. Negata seccamente da Cairo: “Giletti – dice l’editore – ha potuto trattare in totale libertà tutti gli argomenti che ha voluto inclusi quelli relativi alla mafia sulla quale ha fatto molte puntate, con tutti gli ospiti che ha voluto invitare“.
Baiardo e la smentita sulla foto – In effetti a tenere banco nel day after dello stop alla trasmissione è ancora una volta l’ospite più controverso delle 194 puntate di Non è l’Arena: Salvatore Baiardo, l’uomo che ha curato la latitanza dei fratelli Graviano e che dagli schermi di La7 ha “profetizzato” l’arresto di Matteo Messina Denaro. Poche ore prima che diventasse ufficiale il siluramento di Giletti, Baiardo è tornato a parlare: in un video su Tik Tok ha annunciato l’uscita di un suo libro, ha ipotizzato il suo approdo alle reti Mediaset, attaccando La7 e lo stesso conduttore che lo ha reso noto al grande pubblico. Poi ha raccontato di essere stato interrogato dalla procura di Firenze, la stessa che indaga sulle stragi del ’93 e che nei mesi scorsi si è interassata alla sua “profezia” sull’arresto di Messina Denaro. Contattato dal quotidiano Domani, Baiardo ha alzato la posta sul tavolo, raccontando il contenuto del suo incontro col procuratore aggiunto Luca Tescaroli. “Lunedì scorso sono stato ascoltato dalla procura dal dottor Tescaroli, e mi ha riferito che Giletti ha detto che gli avrei mostrato delle fotografie che ritraggono Berlusconi con Graviano e il generale Delfino“. Un episodio che, se confermato, sarebbe esplosivo. Baiardo, però, non è un collaboratore di giustizia ma un favoreggiatore dei boss che hanno fatto le stragi: dice e non dice, annuncia rivelazioni che poi smentisce. E infatti subito dopo nega tutto: “Non è vero, è falso, non gli ho mai fatto vedere queste foto. Loro dicevano: Giletti le ha viste, Giletti le ha viste, ma non è vero. Io sono stato anche perquisito, ma non hanno trovato niente“. Abilissimo a dosare cose verosimili a vicende tutt’altro che autentiche, Baiardo aggiunge anche un’altra retroscena: quando ha parlato in diretta tv di minacce a Giletti lo ha fatto solo perché gli era stato chiesto dallo stesso conduttore: “Durante la pausa di tre minuti in mezzo alla trasmissione è arrivato con un pezzo di carta con scritto ‘Dici in trasmissione che sono minacciato‘, e io come un cretino ho detto quelle cose che lui era minacciato a 360 gradi”. Uno scambio avvenuto all’esterno dello studio televisivo e senza testimoni: dunque impossibile da dimostrare o da smentire tout court. Più o meno come la vicenda delle foto: o saltano fuori oppure non esistono.
Gli interrogatori a Firenze – In tutta questa storia di sicuro c’è solo che Giletti è stato effettivamente sentito come teste per ben due volte dalla procura di Firenze: pochi giorni prima di Natale e poi di nuovo il 23 febbraio scorso. Nello stesso periodo gli è stata rafforzata la protezione, che gli era stata assegnata nel 2020 per le minacce pronunciate in carcere da Filippo Graviano, il cervello economico del clan di Brancaccio, fratello maggiore di Giuseppe, che invece era l’uomo d’azione della famiglia. Fino a questo momento Giletti non ha smentito quanto sostenuto da Baiardo, cioè di aver raccontato ai pm di aver visto queste foto con un giovanissimo Graviano (non è chiaro se fosse Filippo o Giuseppe), Berlusconi e il generale Francesco Delfino. È opportuno sottolineare ancora una volta che fino a prova contraria questi scatti non esistono. È facile però intuire perché una vicenda del genere abbia catalizzato l’interesse della procura di Firenze, che sta ancora indagando su Berlusconi e Marcello Dell’Utri per le stragi del ’93. Intanto perché nel 1996, molti anni prima di “predire” l’arresto di Messina Denaro, Baiardo è stata la prima persona a parlare di rapporti economici tra il braccio destro dell’uomo di Arcore e i fratelli Graviano. Una sorta di anticipazione di quanto sostenuto nel 2020 dallo stesso Graviano: al processo sulla ‘Ndrangheta stragista il boss ha sostenuto di essere stato in affari con Berlusconi e di averlo e addirittura incontrato per almeno tre volte mentre era latitante. Accusa tutte da dimostrare e che i legali del leader di Forza Italia hanno sempre smentito. È un fatto, però, che i boss di Brancaccio hanno trascorso parte della loro latitanza nella stessa zona in cui dimorava proprio il generale Delfino, il terzo personaggio immortalata nella fantomatica fotografia citata dai racconti di Baiardo e Giletti.
Tutti sul lago – Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, infatti, i Graviano si muovevano tra Milano e Omegna, sul lago d’Orta. È lì, di fronte all’Isola di san Giulio, che li accoglie Baiardo, gestore della storica Nuova Gelateria Pastore, nel centro della cittadina del Verbano- Cusio-Ossola. Anche se ha vissuto da sempre a Omegna e si esprime con un accento settentrionale, Baiardo è siciliano: è nato a Palermo ed è imparentato per parte di madre con i Greco di Bagheria. Ha sposato una cugina di Cesare Lupo, un mafioso di Brancaccio che è lo storico braccio destro dei Graviano. Nei primi anni ’90 Baiardo diventa il gestore della latitanza dei fratelli siciliani: li presenta come suoi amici industriali, gli apre il conto corrente in una banca della zona, li porta in giro con la sua Mercedes 190. A Milano, ad Alessandria, ma pure a Orta, all’Hotel San Giulio, dove il boss avrebbe incontrato Berlusconi, secondo quanto sostenuto dall’ex gelataio davanti alle telecamere di Report. A venti chilometri di distanza, come ha scoperto Enrico Deaglio poco tempo fa, dimorava Delfino, proprietario di una splendida villa a Meina, sul lago Maggiore.
Quei sequestri a Milano – Nativo di Platì, in Calabria, figlio del mitico “Massaru Peppe”, carabiniere raccontato in alcuni libri di Corrado Alvaro, Delfino era a Brescia ai tempi della strage di piazza della Loggia, per la quale fu processato e assolto. Poi, nel 1977, va a lavorare a Milano: indaga sui sequestri di persona, che in quel periodo spaventano a morte gli imprenditori lombardi. Compreso Silvio Berlusconi, che nel 1974 aveva assunto come fattore nella sua villa di Arcore un siciliano di nome Vittorio Mangano. “Eravamo negli anni 70, e la faccia di Mangano poteva tenere lontani i malintenzionati in un periodo violentissimo della storia di questo paese. C’erano i rapimenti allora“, ha ammesso di recente al Foglio Dell’Utri: pure lui in quel periodo lascia Arcore per andare a lavorare agli ordini di Filippo Alberto Rapisarda, un finanziere siciliano trapiantato a Milano, amico di molti boss di primo piano di Cosa nostra. Sui metodi seguiti per risolvere i sequestri di persona, spesso organizzati da altri calabresi, il generale Delfino finirà sotto inchiesta due volte: archiviato nel 1994, nel 2001 sarà condannato per truffa ai danni della famiglia di Giuseppe Soffiantini. Tra le sue varie e misteriose avventure c’è anche quella di essere stato l’unico agente segreto italiano presente a Londra dopo la morte di Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato sotto al ponte dei Frati Neri nel 1982.
Il regalo di Natale – Nel 1992, quando i Graviano si muovono da mesi tra Milano e Omegna, Delfino viene mandato a comandare i carabinieri in Piemonte. Sarà una casualità, ma all’epoca si trova in Piemonte pure Balduccio Di Maggio, un mafioso di San Giuseppe Jato che a Riina faceva da autista, ma che era fuggito dalla Sicilia perché temeva di essere ucciso da Giovanni Brusca, il boia della strage di Capaci. Di Maggio si ripara a Borgomanero, provincia di Novara, 15 chilometri dalla villa di Delfino a Meina, poco più di venti dalla gelateria di Baiardo a Omegna, dove spesso si vedono i Graviano. L’8 gennaio del 1992 arriva una soffiata ai carabinieri, che si fiondano in una carrozzieria e arrestano Di Maggio. Il mafioso chiede subito di parlare col generale Delfino, dice di conoscerlo bene. A lui racconta subito una cosa molto interessante: sa come arrivare a Riina, il capo dei capi di Cosa nostra che ha appena ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una vera fortuna per Delfino, che solo pochi mesi prima, subito dopo la strage di via d’Amelio, aveva chiesto d’incontrare l’allora guardasigilli, Claudio Martelli, per fargli una promessa: “Glielo faccio io un regalo di Natale, lei vedrà che le portiamo Totò Riina”. Passano cinque mesi e Riina viene arrestato dopo 25 anni di latitanza, venti giorni dopo Natale. Un’altra profezia, trent’anni prima di quella di Baiardo.