“La vedi nascere, crescere, e poi c’è qualcuno che ti dice: ‘No, lei non è nessuno per te’. È devastante“. Michela abita in un Comune della Bergamasca – che non specifichiamo, per motivi di privacy – ed è unita civilmente con Viola, sua moglie, dal 3 ottobre del 2020. L’anno scorso hanno avuto una bambina, Giulia, grazie alla procreazione medicalmente assistita. Il 3 agosto del 2022 Giulia è stata registrata all’anagrafe di Bergamo e, nero su bianco, ha due mamme: Michela e Viola. Ciò che è successo dopo quell’estate, Michela lo racconta con la voce rotta dal pianto. La Procura della Repubblica di Bergamo ha impugnato la registrazione, chiedendone la cancellazione, e l’ha ottenuta: la scorsa settimana il Tribunale ha detto che quell’atto non è valido. E il nome di Michela è stato cancellato. Ora lei non ha più una figlia; e sua figlia, Giulia, non ha più una mamma. Con tutto ciò che ne consegue sul piano dei diritti: “Se a mia moglie succede qualcosa – racconta – io non posso assistere Giulia. Ora, senza una delega, non posso nemmeno andarla a prendere all’asilo o, un domani, andare all’estero con lei”.
LA PROCURA IMPUGNA L’ATTO DEL 2022 – Ciò che è successo a Michela e Viola sta capitando anche ad altre famiglie, in tutta Italia. E sta avvenendo a prescindere dalla stretta di metà marzo, voluta dal governo guidato da Giorgia Meloni, con la circolare partita dal Viminale che ha imposto lo stop alle registrazioni. “Il nostro avvocato ci aveva avvertite – continua Michela – perché era già successo. La discrezionalità è tutta in mano alle Procure. Poi, sì, il governo ha messo il carico da novanta”. L’impugnazione dell’atto da parte del procuratore di Bergamo, in effetti, è datata 21 ottobre. “La prima convocazione è arrivata a gennaio, per ogni udienza ci vogliono 2-3mila euro. I nostri avvocati hanno chiesto di sollevare la questione alla Corte Costituzionale, ma il Tribunale l’ha respinta”.
I giudici, nella decisione presa pochi giorni fa, hanno fatto riferimento, tra le altre cose, anche al percorso intrapreso dalla coppia (l’eterologa, in Spagna) che ha portato alla nascita di Giulia. In particolare hanno citato la sentenza 230/2020 della Corte costituzionale, secondo cui “la scelta operata dal legislatore (in riferimento alla legge 40/2004 sulla procreazione assistita) sottende l’idea, non arbitraria o irrazionale, che una famiglia a instar naturae” (cioè due genitori di sesso diverso) “rappresenti, in linea di principio, il ‘luogo’ più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato” e che ciò non violerebbe gli articoli 2 e 30 della Costituzione, “perché l’aspirazione della madre intenzionale a essere genitore non assurge a livello di diritto fondamentale della persona”. Poi, richiamandosi alla pronuncia della Cassazione (38162/2022), hanno indicato l’adozione “come strumento migliore per dare riconoscimento giuridico al legame di fatto con il partner del genitore genetico” e hanno stabilito “l’annullamento dell’atto di riconoscimento della minore“. Tradotto: via il nome di Michela dalla registrazione della bambina.
IL PARADOSSO: ADOTTARE LA PROPRIA FIGLIA – “Quella della stepchild adoption è l’unica strada che ci resta. Con tutti i limiti del caso – continua Michela – perché il legame di filiazione è univoco: esiste per quanto riguarda me, nei confronti di mia figlia, ma non viceversa. Che cosa vuol dire? Per esempio, se un domani mi ammalassi, Giulia non avrebbe nessun obbligo di assistermi. Cosa che invece accade in tutti gli altri casi al di fuori di questo tipo particolare di adozione”. Dunque, nei fatti, un nuovo percorso, emotivamente impegnativo, che ha pure dei costi non trascurabili (dai 3 ai 4mila euro di spese legali). “Non temo la stepchild perché sono un genitore adeguato – ci dice Michela, dopo un profondo respiro – impiegheremo un anno, un anno e mezzo per ottenerla. Il Tribunale di Brescia chiederà a mia moglie se acconsente che io adotti sua figlia, ci chiederanno di fare incontri con gli assistenti sociali, di raccontare il nostro rapporto e il rapporto che abbiamo con nostra figlia”.
In questi giorni la Procura di Padova ha chiesto al Comune gli atti delle iscrizioni all’anagrafe di coppie di mamme registrate a partire dal 2017. Si tratta di 32 casi. C’è il rischio, per tutti, che vengano annullati. “Nel migliore dei mondi possibili non dovrebbe accadere. Nel migliore dei mondi possibili nessuno dovrebbe stracciare quel riconoscimento e ogni famiglia, qualsiasi sia il modo in cui è composta, dovrebbe essere riconosciuta. Se succede qualcosa a Viola, ora, prendono Giulia e la portano ai nonni, e io non sono nessuno”.
LA SPAGNA, L’ETEROLOGA, UNA NUOVA VITA – Michela e Viola lavorano entrambe nel terzo settore, nei servizi educativi per i minori e con persone con disabilità (Michela è anche maestra di sci). Si conoscono nel 2012, cinque anni dopo inizia la loro storia d’amore e nel 2020 si sposano. “Ci siamo informate moltissimo prima di intraprendere il percorso che avrebbe portato alla nascita di Giulia – racconta Michela – abbiamo seguito webinar, abbiamo chiesto consigli medici e, come dico sempre, prima di vedere mia figlia ho visto l’avvocato molte volte. Alla fine abbiamo scelto una clinica privata in Spagna, a Barcellona, dove a Viola è stata fatta l’inseminazione intrauterina, che è una tecnica di primo livello per il fatto che che non prevede la fecondazione in vitro. Si fa tutto all’interno del corpo e per noi donne è, di fatto, un’eterologa. In clinica c’erano praticamente solo coppie eterosessuali, venivano da tutta Europa e ci dicevano che erano lì perché non erano mai riusciti a diventare genitori, nonostante infiniti tentativi. La pianificazione del viaggio è stata molto complessa, perché ci sono procedure da seguire e bisognava seguire i ‘ritmi’ fisiologici del corpo di Viola. Siamo state seguite da due ginecologhe, sia in Italia sia in Spagna, e abbiamo fatto entrambe alcune esami. Dopo il concepimento, abbiamo seguito i corsi pre-parto, come tutte le coppie normali, se possiamo dire normali (ride, ndr)”. Michela e Viola hanno raccontato – e raccontano – il loro percorso di genitori su Instagram, sul profilo duemammeinfamiglia.
“La prima batosta l’abbiamo ricevuta subito dopo il parto. Quando Viola è stata in sala parto, al Papa Giovanni di Bergamo, l’ho assistita come fanno tutti i papà, sono rimasta con lei tutto il tempo. Abbiamo trovato persone accoglienti finché a un certo punto, dopo che è nata Giulia, è arrivata un’ostetrica che ha stracciato il documento, fatto poche ore prima da una sua collega, sul quale compariva anche il mio nome, insieme a quello di Viola. E ha inserito, qualora fosse successo qualcosa alla bambina, il suo numero di cellulare, e solo dopo il mio. Per lei, in pratica, non esistevo”. Per Michela “l’Italia cerca in tutti i modi possibili di impedirti di essere genitore”, ma è pur vero che la sua esperienza le dice che c’è “un profondo scollamento tra la maggior parte delle persone, che ti accolgono e che sono aperte, e una piccola minoranza, che sulla base dell’ideologia vorrebbe cambiare ciò che già esiste, la realtà”.
Dopo il parto, pochi mesi di serenità. Poi, l’intervento della Procura. E il resto è già storia. “È bello potersi riempire l’ego e dire ‘ah, è mio figlio, mi assomiglia, ha il mio stesso Dna’. La verità, e lo dico con un po’ di presunzione – conclude Michela – è che ci vuole più coraggio a essere genitore non biologico che a essere genitore biologico. Perché ami un figlio, e lo cresci, con tutti i sacrifici che ciò comporta, a prescindere dalla genetica”.
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