di Leonardo Botta
In principio fu Silvio Berlusconi. “Scese” in politica all’indomani del tracollo della prima Repubblica, promettendo agli italiani una nuova alba liberale. E, invece, ci lasciò in dote il più alto concentrato storico di monopolismo e conflitti d’interesse.
Poi venne il turno di Mario Monti. Era arrivato con l’aura del messia salvatore dopo i disastri berlusconiani, preceduto dalla disperata prima pagina del Sole 24 Ore, “Fate presto!”, nel buio giorno dello spread a 575 punti base; e forse, nonostante le molte ombre del suo operato, l’Italia la salvò davvero. Conclusa l’esperienza di quel governo di emergenza nazionale, si presentò alle elezioni del 2013 con la sua creatura, Scelta Civica, che poco dopo ripudiò mestamente.
Non miglior sorte toccò ai volenterosi di Fare per Fermare il Declino, un gruppo di politici ed economisti guidati da Oscar Giannino, Luigi Zingales e Michele Boldrin. Nel 2013 stavano per rendersi protagonisti di un’interessante esperienza di rottura con gli schemi politici del momento, raccogliendo simpatie tra gli italiani con un programma centrato prevalentemente sulla riduzione di spese e sprechi. Sfortunatamente, alla vigilia delle elezioni scoppiò una feroce polemica sul curriculum taroccato e la finta laurea del leader designato, Giannino, che mandò a monte quel progetto sul nascere.
E veniamo ai giorni nostri, con le cronache politiche che ci narrano l’inglorioso aborto spontaneo del partito unico promesso da Azione e Italia Viva. Calenda e Renzi c’hanno provato (più per convenienza che convinzione), ma con due galli in un pollaio si sa la storia come va a finire.
Peccato per loro: qualche mese fa seguii sul web la conferenza organizzata dal gruppo Alde – Liberali Democratici Europei (coordinati da un quadrumvirato composto da Giuseppe Benedetto, Alessandro De Nicola, Oscar Giannino e Sandro Gozi), nel quale si registravano gli interventi di tutti i principali attori del liberalismo italiano, compresi naturalmente Calenda e Renzi, e anche di qualche esponente di +Europa.
Tutti gli intervenuti vaticinavano convintamente la nascita del partito unico LibDem, la cui azione politica si incardinasse in quella del gruppo Renew Europe nell’europarlamento. Un partito unico dal potenziale consenso a due cifre (tutto da dimostrare, è vero: in politica, a differenza che nei film di Totò, la somma non fa mai il totale). Un partito che, magari cinicamente, potesse attendere i tempi migliori in cui, complice il progressivo disimpegno dalla politica di Berlusconi per sopraggiunti limiti d’età (lunga vita a lui), l’aggancio all’amo di qualche transfugo Pd poco convinto dalla linea dettata dalla nuova segretaria Shlein, e magari l’avvio della parabola discendente del melonismo, piazzarsi al centro della scena e fungere da ago della bilancia: i partiti Liberale e Repubblicano di Altissimo e Spadolini-La Malfa, con meno voti, furono determinanti per le fortune del pentapartito (vero è che quelli erano i tempi del proporzionale puro).
Questo è forse il malinconico, definitivo tramonto politico dei figli (forse poco legittimi) di Einaudi e Croce. Sic transit gloria mundi.