A seguito dell’ormai tristemente noto episodio nel quale il Dalai Lama sussurra ad un bambino di ‘succhiargli la lingua’, abbiamo assistito ad una pelosa e trasversale ondata giustificativa che ha lo scopo di inquadrare questo atto in una non ben precisata ‘usanza’ o ‘tradizione’ a sfondo culturale-religioso, cercando pezze di appoggio sin dentro i meandri del buddismo, mondo che non conosco e dunque rispetto profondamente, ma che credo poco abbia a che fare con l’accaduto. Questa corale excusatio non petita ha raggiunto livelli a mio parere grotteschi, portando fior di pensatori illuminati a riempire le loro bacheche virtuali di immagini nelle quale il Dalai Lama abbraccia, stringe, sorride, sino all’istantanea con la linguaccia esposta quasi identica all’iconica immagine che ritraeva Einstein in simile posa.

Non mi interessa, e non deve interessare, il retroterra simbolico-religioso saccheggiando il quale si cerca di giustificare l’ingiustificabile. Non dobbiamo mai cadere nella trappola dell’identificazione con l’aggressore, portando rispetto a qualsiasi cosa egli faccia perché sostenuto da una storia, un architrave spirituale e un al di là in nome del quale le persone, in questo caso i bambini, appaiono meri strumenti di espressione di rituali. Io mi pongo dalla parte del bambino, di certo inserito in un sistema complesso che gli ha dato le radici, ma ancora innocente e ignaro di questa ‘iniziazione’, se mai di questo si trattasse.

Come psicoanalista osservo che qualcuno ha violato la ‘quiete sessuale’ dell’infante. Una rottura che a tutti gli effetti lascerà una traccia ma che, come la clinica insegna, può divenire anche trauma. Io non voglio, non posso, non mi autorizzo a vedere la scena da molti descritta di un uomo, ritenuto la reincarnazione di una divinità, che ‘scherza’ con la lingua di un bambino, un anziano ‘buontempone’ che con questo gesto esprime affetto, vicinanza e cura nei confronti del ragazzino. Io vedo un vecchio che mette la lingua in bocca ad un bambino.

Il Dalai Lama sostiene che il suo null’altro era che un comportamento ‘giocoso’. Può essere, sia male a chi pensa male, non voglio dubitarne. Absit iniuria verbis, ci mancherebbe. Ma lungi da me l’esegesi delle sue intenzioni che può scivolare pericolosamente nel giustificazionismo. Non mi metto ad indagare le sue motivazioni come tanta stampa sta facendo, siano esse realmente frivole o libidinamente basse. Io sto dalla parte di chi quelle intenzioni non le può e non le deve capire: il bambino, il quale non può comprendere che si tratta di un ‘gioco’, una ‘tradizione religiosa’, o altro ancora. Un bambino non è ancora formato alla sessualità completa, la cui struttura di personalità non gli permette di assimilare quel gesto se non con un’incrinatura del suo sviluppo, un’erotizzazione di un gesto a lui sconosciuto.

“E’ stato solo un gesto affettuoso, comunque ‘disturbante’, ma assimilabile ad uno scherzo”: il monaco Tenzin Peljor ricorda infatti che il Dalai Lama “è una personalità molto calorosa, goliardica, che spesso cerca il contatto fisico”. “Ho conosciuto il Dalai Lama – continua il monaco – posso testimoniare che ha sempre la tendenza allo scherzo”. Argomentazioni come questa osservano l’accaduto scrutando l’orizzonte sempre e solo dalla prospettiva della tradizione, religiosa o laica che sia, dimenticando il punto di vista del soggetto più debole. Non ne ho certo le competenze ma, se di retroterra religioso si parla, allora preferisco il motto “Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare.”

E’ a quel bambino che penso, non al vecchio giocoso. Alla sua prepubertà scossa. All’incontro perturbante con qualcosa che non avrebbe dovuto incrociare. Credo fermamente alla sviluppo sessuale del bambino come la psicoanalisi ce lo insegna, di certo attualizzato, ma rigorosamente composto da tappe che si susseguono per giungere ad uno sviluppo armonioso, che armonizzi i vari passaggi pulsionali sino a quella condizione di ‘adulto’, nella quale sessualità e amore possono trovare il loro equilibrio.

Ho sentito tanti, troppi racconti di giovani donne e uomini che sono stati palpeggiati, baciati, toccati. Ragazzini verso i quali alcuni adulti hanno divelto il limite naturale, agendo i loro inconfessabili desideri di sfiorare le parti del corpo di allievi, atleti, alunni, il tutto per una loro pruderie, per un loro soddisfacimento personale. “Uomini innocenti con istinti un po’ bestiali”, per dirla con Battiato, che hanno spesso mascherato le loro sporche passioni con abiti confessionali o para confessionali, vestendole con addobbi culturali o religiosi: l’ho fatto in nome di Dio, di un precetto, di una entità superiore. L’ho fatto per qualcosa di trascendente, che rimanda ad un altrove e che, in ultima analisi, obbliga la vittima a tenere la posizione di oggetto sacrificale prono ad un disegno più grande di lui.

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