La solitudine assoluta forse non esiste. Se a volte c’è, si può sconfiggere con la condivisione di una buona idea, con il senso di appartenenza, con una banda. Lo insegna la resistenza partigiana. Il romanzo d’esordio di Carolina Crespi, La banda felice, propone un modello di organizzazione sociale spontaneo e duraturo, che aggrega le persone sulla base di un sentimento, un legame o una necessità. E le spinge a stare insieme anche oltre l’entusiasmo iniziale. Protagonista del libro, edito da Nutrimenti, è Margherita, una giovane donna di 28-30 anni cresciuta a Busto Arsizio che deve fare i conti con una scomparsa: quella di suo fratello minore, Giulio. Dal giorno in cui è uscito di casa senza fare ritorno, la vita della famiglia sembra disintegrarsi. Ma è proprio questo dolore a portare ciascuno a indagare su di sé.
“Nel libro ci sono tre bande, che rappresentano i tre nuclei narrativi – racconta l’autrice a ilfattoquotidiano.it – La prima è la famiglia imperfetta di Margherita che alla scomparsa del fratello vive uno sgretolamento. Cercando risposte, Margherita scopre altre cose, che hanno a che fare con le proprie origini oltre che con la ricerca fisica di Giulio. La seconda banda è quella del padre e della sua relazione omosessuale più o meno esplicita con un altro personaggio. La terza banda appartiene al percorso di formazione della protagonista. All’età di 20-22 anni, Margherita costruisce delle amicizie con cui crea una casa in cui nessuno abita ma tutti possono fare cose che a casa propria non possono fare. Abitudini semplici, come tenere un acquario o un animale domestico”. Gran parte della narrazione è ambientata nella provincia di Varese, ma i luoghi citati hanno valore universale. “Ho scelto posti che non fossero qualcosa di chiaro, zone di provincia in cui la città è sempre uno sfondo. E anche le valli sono a metà tra pianura e montagna. Il loro essere una terra di mezzo, senza una forte caratterizzazione, trasmette la ricerca personale del libro: i protagonisti si chiedono sempre chi sono e chi è la loro famiglia”.
A ispirare il romanzo è il libro La felicità dei partigiani e la nostra, realizzato dal professore Valerio Romitelli che ricostruisce l’organizzazione delle bande partigiane formatesi nel contesto storico del 1944. Nate per sopravvivenza, non resistono alla defascistizzazione del Paese pur essendo più che salde nell’antifascismo. “Ci si chiede cosa in quel momento facesse sì che tutti credessero nell’idea della banda e si mettessero insieme con un’inventiva nuova – spiega Crespi – Leggendo Romitelli ho pensato innanzitutto alle mie esperienze di lavoro dal basso e ho cercato di capire come far funzionare dei modelli sociali come le bande”. A comporle allora erano partigiani che volevano opporsi a un invasore, ma la sfida, oggi, è quella di “pensare che una banda possa esistere senza un nemico” – dice la scrittrice. Il concetto che dà il titolo al libro, quindi è quello di un gruppo sociale operativo, che resta unito sulla base di un senso di appartenenza che è il motore della banda stessa. “Non bisogna per forza essere contro qualcun altro per agire insieme. Oggi non c’è un nemico reale, ma ci sono ragioni per cui vale la pena dire la propria e provare a cambiare le cose” racconta.
Questo valore è radicato nell’esperienza biografica dell’autrice, che nei luoghi descritti nel libro oltre a essere cresciuta ha cercato di seminare progetti di coesione. Insegnante di scuola media, in parallelo ha contribuito a fondare il circolo Arci Gagarin di Busto Arsizio e la libreria Alaska di Milano. “Cercavo di capire cosa questo tipo di organizzazione potesse significare per me. E di misurare anche il valore dell’entusiasmo iniziale, che può perdersi quando si mette in piedi una banda”. Aprendo Alaska, per esempio, libreria cooperativa nata un anno fa. “I soci sono tutti nel direttivo. Abbiamo preso dei modelli e li abbiamo riadattati”. La libreria nasce in un’area in cui da vent’anni non c’era un’attività del genere. E collabora con le altre realtà del territorio. “Ci siamo dati tre anni di tempo per capire se è sostenibile. Affidiamo la selezione dei libri anche ad associazioni esterne e organizziamo eventi non solo in libreria ma in altri spazi della zona, come i locali dell’ex Paolo Pini”. Il bagaglio personale dell’autrice ha contribuito alla stesura del romanzo, che però non è autobiografico. “Temevo fosse accolto come autofiction. Significherebbe appiattirlo. Ci sono tratti della mia storia personale, come i luoghi o lo sport, ma la trama è per lo più frutto di finzione”. Dietro, però, c’è anche un lavoro di ricerca durato oltre quattro anni. Per cui tra le pagine si trovano foto, riferimenti a elementi storici, e versi, documentali o fittizi.
Una delle lettere di partigiani rimasta fuori dal libro sarà letta durante la presentazione del romanzo al reading musicale di domenica 16 aprile al Gogol & Company di Milano. “È la testimonianza del reduce di Fondotoce Carlo Suzzi – dice Carolina Crespi – Sopravvissuto all’eccidio del 20 giugno 1944, in cui furono fucilati in 42. Dopo essere tornato in Valdossola, ha abbandonato la famiglia e si è trasferito in Tailandia”, racconta Crespi. La sua testimonianza, scritta e orale, avrebbe dovuto rientrare nel romanzo ma poi è rimasta fuori, pur lasciando traccia in uno dei principali personaggi, Domenico Suzzi. “Lo leggo perché non rimanga una voce muta – dice Crespi – I partigiani sono sempre descritti con profilo eroico e inscalfibile, lui è l’esempio di un partigiano umano che sceglie di crearsi un’altra famiglia abbandonando la propria”.